I Flussi Migratori

Giugno/settembre 2023 n. 48
Flussi migratori
A cura del CeSPI centro Studi di Politica Internazionale

FOCUS Migrazioni internazionali
Osservatorio quadrimestrale N. 2 – 2023 (giugno – settembre)
16 ottobre 2023
di Marco Zupi
Piazza Venezia 11 – 00187 Roma – 066990630 – cespi@cespi.it – www.cespi.it
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Sommario
Abstract ………………………………………………………………………………………………………………………………………… 5
1.
1.1
1.2
2.
2.1 2.2 2.3
2.4
2.5
3.
3.1
3.2
3.3
3.4
3.5
3.6
Osservatorio mondiale: le sfide dell’integrazione………………………………………………………………….. 7 L’importanza e dimensione del fenomeno ……………………………………………………………………………. 7 Gli indicatori dell’inclusione/integrazione degli immigrati nei Paesi OECD………………………………… 8
Osservatorio regionale: le rotte migratorie del Mar Mediterraneo………………………………………. 15 – L’importanza dei dati su stock e flussi migratori nel Mediterraneo…………………………………………… 15 – Lo Stock di immigrati nella regione mediterranea …………………………………………………………………… 17 – I recenti flussi migratori nella regione mediterranea………………………………………………………………. 25
i. La Spagna e la rotta occidentale…………………………………………………………………………………. 27
ii. L’Italia e la rotta del Mediterraneo centrale ………………………………………………………………… 34
iii. La Grecia e la rotta del Mediterraneo orientale……………………………………………………………. 41
iv. Le tre rotte a confronto ……………………………………………………………………………………………… 45
– Le tragedie del Mar Mediterraneo. Morti e dispersi……………………………………………………………….. 50 – Breve annotazione a margine………………………………………………………………………………………………. 54 Osservatorio nazionale: le migrazioni a Cuba …………………………………………………………………….. 57 Gli sviluppi storici …………………………………………………………………………………………………………….. 57 La grave crisi economica attuale ………………………………………………………………………………………… 59 L’alternanza tra emigrazioni continue a bassa intensità e ondate straordinarie ………………………. 63 La diaspora cubana nel mondo ………………………………………………………………………………………….. 68 L’emergenza migratoria attuale: rotte principali ………………………………………………………………….. 72 L’emergenza migratoria attuale: La situazione relativa agli Stati Uniti ……………………………………. 76
3.7
Tommaso Santambrogio …………………………………………………………………………………………………………….. 81
Una carrellata sulle trasformazioni delle migrazioni e la persistenza delle motivazioni. Intervista a
3

Abstract
L’inclusione e integrazione degli immigrati nei Paesi è un processo complesso e continuo. Non esiste un approccio univoco e le sfide e le opportunità variano da Paese a Paese. Nella sezione mondiale del Focus, analizzando la situazione nei Paesi di accoglienza per i quali sono disponibili dati aggiornati, ovvero i Paesi OECD, resi disponibili in una recente pubblicazione, emergono alcune delle principali sfide quali barriere linguistiche, mancanza di accesso all’istruzione e all’occupazione, discriminazione. I dati mostrano che il tasso di occupazione degli immigrati nei Paesi OECD era in media del 67,4% nel 2022, leggermente inferiore a quello dei nativi (68,9%). Tuttavia, ci sono state grandi differenze tra i Paesi, con alcuni che hanno tassi di occupazione più elevati per gli immigrati rispetto ai nativi, e altri che hanno tassi più bassi. Sempre nel 2022, il reddito medio annuo degli immigrati nei Paesi dell’OECD era pari all’87% di quello dei nativi; il divario di reddito era maggiore per le donne che per gli uomini, e per gli immigrati con un basso livello di istruzione rispetto a quelli con un alto livello di istruzione. Il tasso di povertà degli immigrati era del 16,4%, superiore a quello dei nativi (12,7%); soprattutto, il divario di povertà era particolarmente ampio per i bambini immigrati, che avevano più del doppio delle probabilità di vivere in povertà rispetto ai bambini nativi. Una notizia incoraggiante è che, se gli immigrati tendono a essere inizialmente in netto ritardo rispetto ai nativi in termini di occupazione e/o salario, le differenze tendono a ridursi nel tempo, soprattutto per quanto riguarda i salari, indicando una progressiva convergenza.
La sezione regionale si focalizza sull’area del Mediterraneo. In particolare, sono prese in considerazione quattro tipologie di verse di fenomeni, coi relativi dati. Il primo fenomeno è lo stock degli immigrati sia nei Paese dell’UE che si affacciano sul bacino del Mediterraneo, sia nei Paesi nord-africani, confrontando la situazione in termini di numeri assoluti, quota relativa rispetto alla popolazione totale residente, regioni e Paesi di provenienza. Il secondo fenomeno, più congiunturale, è rappresentato dai flussi di immigrazione, in particolare l’immigrazione irregolare, un problema importante in Europa da molti anni, soprattutto dopo la crisi migratoria del 2015, quando più di un milione di persone sono arrivate nell’UE, soprattutto da Siria, Afghanistan e Iraq. I dati internazionali disponibili permettono di confrontare la situazione attuale, mettendola in relazione con quella passata, delle tre diverse rotte che attraversano il Mediterraneo e che approdano, rispettivamente, in Spagna (rotta occidentale), Italia (rotta centrale) e Grecia (rotta orientale). Il terzo fenomeno è quello dei flussi regolari che, nonostante ricevano molta meno attenzione del dibattito attuale sulle migrazioni internazionali, sono un fenomeno strutturale che interessa un numero molto più ampio di migranti rispetto a quello dei flussi irregolari nel caso di quasi tutti gli Stati membri dell’Unione Europea, anche se l’Italia è tra i Paesi che fanno eccezione al riguardo. Il quarto fenomeno da sottolineare è quello dei picchi: al di là di una natura strutturale delle migrazioni internazionali nel Mediterraneo – con significative differenze tra sponda Sud e Nord del Mar Mediterraneo – la storia degli ultimi 35 anni indica come ci siano state alcune ondate eccezionali di afflussi migratori: all’indomani del collasso dell’Unione Sovietica, l’ondata di richiedenti asilo provenienti dalla Siria nel 2015 e l’attuale flusso di rifugiati ucraini. Picchi che hanno interessato diverse delle rotte che attraversano il Mediterraneo, rotte molto rischiose, a cominciare da quella centrale, che ha il triste primato di numero di morti e dispersi lungo il tragitto. È infine segnalato un dato preoccupante, relativo ai 6 milioni di rifugiati palestinesi che si trovano nella regione mediterranea, segnati da un lunghissimo periodo di condizione ‘transitoria’ di rifugiati, con il rischio di possibili conseguenze di ulteriori sfollamenti a seguito della guerra tra Hamas e Israele.
Infine, la sezione nazionale del focus si concentra su Cuba, un Paese al centro da quasi 65 anni di una contrapposizione ideologico-politica tra comunismo e capitalismo, che sta affrontando una gravissima crisi economica, acuitasi a seguito della pandemia da COVID-19 e dell’inasprirsi della politica di embargo statunitense, ma che è anche caratterizzato da una storia migratoria di lungo periodo. Già prima della rivoluzione cubana castrista del 1959, Cuba era Paese di origine di flussi migratori che poi, nel tempo, si sono accresciuti, passando per diverse ondate influenzate da fattori politici, economici e sociali: subito dopo la rivoluzione, con l’Operazione Pedro Pan all’inizio degli anni Sessanta, con l’esodo di Mariel che coinvolse circa 125.000 cubani nel 1980, dopo la dissoluzione dell’Unione Sovietica (principale alleato e sostegno economico per Cuba), con la cosiddetta politica dei piedi bagnati/asciutti (1995-2017), e infine con l’ondata senza precedenti in questi ultimi tre anni, a causa della gravissima crisi economica. Poiché la maggior parte dei circa 2 milioni di emigrati si trova negli Stati Uniti, la cui politica e trattamento speciale per i cubani hanno influito sulla dinamica stessa dei flussi migratori, alla situazione negli Stati Uniti è data una particolare attenzione, oltre che alla realtà complessiva della diaspora. Chiude la sezione relativa a Cuba un’intervista a Tommaso Santambrogio, regista che ha inaugurato le Giornate degli Autori alla Biennale di Venezia 2023 con il film “Los océanos son los verdaderos continentes”, frutto di prolungati soggiorni a Cuba e di una conoscenza approfondita dell’impatto delle migrazioni sulla vita di diverse generazioni di cubani.
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  1. Osservatorio mondiale: le sfide dell’integrazione 1.1 L’importanza e dimensione del fenomeno
    L’immigrazione irregolare è il termine usato per descrivere il movimento di persone attraverso le frontiere senza rispettare i requisiti legali del Paese di destinazione. Si tratta di un problema importante in Europa da molti anni, soprattutto dopo la crisi migratoria del 2015, quando più di un milione di persone sono arrivate nell’UE, soprattutto da Siria, Afghanistan e Iraq. Da allora, l’UE ha adottato diverse misure per gestire i flussi migratori, come il rafforzamento dei controlli alle frontiere, il potenziamento della cooperazione con i Paesi terzi e la riforma del sistema di asilo.
    Tuttavia, l’immigrazione irregolare rimane una sfida per l’UE, poiché le rotte utilizzate dai migranti sono molto pericolose e spesso coinvolgono contrabbandieri e trafficanti di esseri umani. Inoltre, gli immigrati irregolari incontrano molte difficoltà nell’accesso ai diritti e ai servizi di base, come l’assistenza sanitaria, l’istruzione e la protezione sociale. Sono anche esposti al rischio di sfruttamento, abuso e discriminazione nel mercato del lavoro e nella società.
    Ciò che rimane, però, costante e forse non sufficientemente chiaro a chi non conosce il fenomeno su scala mondiale sono due aspetti:
  2. Il problema delle migrazioni forzate è un fenomeno drammatico e crescente su scala mondiale, che investe, per oltre i tre quarti del numero totale di migranti fuggiti dal proprio Paese, i Paesi in via di sviluppo e non economie avanzate, come gli Stati membri dell’UE.
  3. La maggior parte della migrazione nel mondo e in Europa è regolare: quasi 3 milioni di persone ricevono ogni anno il permesso di soggiorno nell’UE, contro circa 330.000 arrivi irregolari nel 2022. Nei Paesi con economie ad alto reddito dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Organisation for Economic Co-operation and Development, OECD), in media nell’ultimo decennio, si sono registrati quasi 5 milioni di afflussi permanenti all’anno.
    Non esiste una definizione universalmente accettata o dati affidabili sulla migrazione irregolare, poiché si tratta di un fenomeno complesso, elusivo e dinamico1. Tuttavia, si può stimare che i migranti irregolari siano attorno al 20% della popolazione migrante internazionale totale (stimata a 281 milioni nel 2020).
    Gran parte dell’attenzione dell’opinione pubblica, dei mass-media e della politica va alle migrazioni irregolari, con un focus su:
    1 È importante notare che la distinzione tra migrazione regolare e irregolare non è sempre netta. Ad esempio, un migrante può entrare legalmente in un Paese con un visto turistico ma poi prolungare il suo soggiorno, diventando un migrante irregolare. Allo stesso modo, un migrante può entrare in un Paese irregolarmente (percorrendo la rotta del Mediterraneo per approdare all’isola di Lampedusa, per esempio) ma poi chiedere e ottenere asilo; in questo caso si tratta di un migrante regolare. La situazione dei migranti può, dunque, cambiare nel tempo, in quanto possono perdere o acquisire lo status di regolari a causa di vari fattori, come la scadenza dei visti, i cambiamenti nelle leggi, i programmi di regolarizzazione o le richieste di asilo.
    7
  • l’impatto dell’immigrazione irregolare sulla sicurezza e la stabilità dei Paesi ospitanti e delle comunità delle zone che li ospitano;
  • la responsabilità umanitaria e morale del Paese ospitante di proteggere e assistere le persone che necessitano di protezione internazionale;
  • l’integrazione e l’inclusione degli immigrati irregolari nelle società di accoglienza e il loro contributo allo sviluppo economico e sociale;
  • il rispetto dei diritti umani e della dignità degli immigrati irregolari e il loro accesso alla giustizia;
  • la cooperazione e la solidarietà tra gli Stati per affrontare le cause profonde della migrazione irregolare e condividere la responsabilità di ospitare e sostenere i migranti, scoraggiando le migrazioni irregolari e i mercati che prosperano attorno al fenomeno.
    Tuttavia, questa attenzione verso le migrazioni irregolari non significa che non ci siano problemi da risolvere per quanto riguarda le migrazioni regolari, ovvero la maggior parte dei migranti in Europa e nel mondo, considerando che i migranti aiutano a colmare le lacune di competenze e contribuiscono all’economia dei Paesi ospitanti, e l’inclusione/integrazione, anzitutto nel mercato del lavoro, nelle scuole, e nell’accesso all’abitazione e ai servizi di welfare, è fondamentale. A livello dell’UE, per esempio, il Piano d’azione per l’integrazione e l’inclusione 2021-2027, presentato nel 20202, fornisce un quadro di riferimento per i Paesi dell’UE e le altre parti interessate ad agire insieme.
    L’OECD ha pubblicato recentemente un rapporto che presenta i dati disponibili agli indicatori dell’integrazione: le competenze degli immigrati e l’integrazione nel mercato del lavoro, i livelli di istruzione, le competenze linguistiche e la partecipazione della popolazione immigrata a corsi di formazione, nonché i risultati sul mercato del lavoro e gli aspetti qualitativi del lavoro degli immigrati; la capacità degli immigrati di raggiungere condizioni di vita dignitosa (in termini di reddito familiare, condizioni abitative, stato di salute e accesso all’assistenza sanitaria), accesso alla cittadinanza e al voto3.
    Pur non essendo esteso su scala mondiale, i dati dell’OECD analizzano la situazione in Paesi dell’Oceania, Asia, Europa e Nord e Sud America, per i quali le informazioni sono più affidabili e regolari.
    1.2Gli indicatori dell’inclusione/integrazione degli immigrati nei Paesi OECD
    Un modo per misurare i risultati della popolazione di immigrati rispetto a quelli della popolazione nativa nel Paese di destinazione, utilizzata come gruppo di riferimento, è calcolare il rapporto tra la quota di immigrati (espressa in punti percentuali) con un basso livello di istruzione e quello della popolazione nativa. Il grafico illustra la situazione, ricordando che nei Paesi con un valore sull’asse verticale pari a 1 gli immigrati hanno le stesse probabilità di avere un basso livello di istruzione rispetto ai nativi; con un valore pari
    2 https://www.integrazionemigranti.gov.it/AnteprimaPDF.aspx?id=748
    3 OECD/European Commission (2023), Indicators of Immigrant Integration 2023: Settling In, OECD Publishing,
    Parigi.
    8

a 2 hanno circa il doppio delle probabilità e con un valore pari a 0,5 hanno circa la metà delle probabilità di avere un basso livello di istruzione rispetto ai nativi.
Graf. 1 – Confronto tra la quota di nati all’estero e quella della popolazione nativa con un
basso livello di istruzione. Persone di 15-64 anni che non vanno a scuola, 2020
4,5 4 3,5 3 2,5 2 1,5 1 0,5 0
Fonte: OECD, 2023
C’è una gamma di situazioni molto diverse, che variano tra i diversi gruppi di immigrati, come i rifugiati, le donne, i giovani o quelli più anziani. In generale, gli immigrati possono provenire da Paesi con livelli di istruzione o qualità inferiori a quelli dei Paesi OECD, il che influisce sulle loro competenze e qualifiche; possono incontrare difficoltà nell’accesso all’istruzione nei Paesi ospitanti, a causa di barriere linguistiche, differenze culturali, discriminazioni o restrizioni legali. Spesso, poi, gli immigrati possono trovarsi di fronte a compromessi tra l’istruzione e altre priorità, come il lavoro, che limitano il loro tempo e le loro risorse per l’apprendimento. Gli studenti immigrati in molti Paesi OECD – spiega un altro report dell’OECD4 – hanno un accesso più limitato a un’istruzione di qualità. Tendono a lasciare la scuola prima e a ottenere risultati accademici inferiori rispetto ai loro coetanei autoctoni. Ciò evidenzia un problema sistemico nei sistemi educativi di questi Paesi, che potrebbero non rispondere adeguatamente alle diverse esigenze degli studenti immigrati.
4 https://www.oecd.org/education/school/oecdreviewsofmigranteducation- closingthegapforimmigrantstudentspoliciespracticeandperformance.htm#:~:text=In%20many%20OECD%20countries% 2C%20immigrant,immigrant%20students%20a%20policy%20priority
9
Romania
Polonia
Bulgaria
Nuova Zelanda
Estonia
Irlanda
Perù
Portogallo
Cile
Australia
Canada
Malta
Messico
Turchia
Lettonia
Slovacchia
Lituania
Regno Unito
Israele
Ungheria
Argentina
Spagna
Islanda
Totale OECD (37)
Norvegia
Costa Rica
Lussemburgo
Italia
Danimarca
Cipro
Paesi Bassi
Croazia
Totale UE (26)
Belgio
Rep. Ceca
Grecia
Francia
Giappone
Slovenia
Austria
Stati Uniti
Finlandia
Corea
Svezia
Germania
Svizzera

I dati indicano che il valore medio dei 37 Paesi membri dell’OECD che bipartisce la distribuzione: a destra ci sono gli Stati con gli immigrati che hanno maggiori probabilità di avere un basso livello di istruzione rispetto ai nativi (come il caso dell’Italia e, ancor più marcato, del totale dell’UE); a sinistra, invece, ci sono gli Stati con gli immigrati che hanno minori probabilità di avere un basso livello di istruzione rispetto ai nativi. L’Italia, per esempio, è un Paese in cui gli immigrati hanno una probabilità pari a una volta e mezzo quella dei nativi di avere un basso livello di istruzione; in Germania – che ha un numero elevato di rifugiati tra gli immigrati – la probabilità sale a tre volte e mezzo. All’opposto, in Romania, Polonia e Bulgaria la probabilità è meno della metà di quella dei nativi.
In media, il 27% degli immigrati nei Paesi OECD ha un livello di istruzione basso e l’11% molto basso, rispetto al 26% e al 7% della popolazione nativa. In Europa, queste disparità sono ancora più pronunciate: un terzo della popolazione immigrata ha un basso livello di istruzione in tutta l’UE, che sale al 39% tra gli immigrati extracomunitari, rispetto al 23% della popolazione nativa, secondo uno studio di alcuni anni fa, sempre a cura dell’OECD5.
Un’altra dimensione da considerare è quella dell’esposizione alla povertà, misurata con il tasso di povertà relativa, ovvero la percentuale di persone il cui reddito è inferiore alla metà del reddito mediano della popolazione totale: rispetto ai nativi, gli immigrati sono mediamente più esposti alla povertà praticamente ovunque. Per ogni Paese, l’istogramma senza bordo misura la percentuale di popolazione povera tra gli immigrati, l’istogramma con il bordo nero il tasso tra i nativi.
Graf. 2 – Confronto tra i tassi di povertà relativa tra i nati all’estero e la popolazione nativa. Persone di 15-64 anni che non vanno a scuola, 2020
Fonte: OECD, 2023
5 https://www.oecd-ilibrary.org/sites/9789264307216-7-en/index.html?itemId=/content/component/9789264307216-7-
en#:~:text=In%20the%20OECD%2C%2027,born
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Il contesto socioeconomico delle popolazioni nate all’estero varia molto da un Paese all’altro e può spiegare solo in parte le discrepanze nei tassi di povertà relativa tra i due gruppi. Sono molti i fattori che possono influenzare il tasso di povertà relativa degli immigrati e dei nativi, come il livello e la distribuzione del reddito, la composizione e le dimensioni dei nuclei familiari, l’accesso alle prestazioni e ai servizi sociali, le condizioni e le opportunità del mercato del lavoro, lo status giuridico e la durata del soggiorno degli immigrati.
Questa differenza quasi sistematica tra immigrati e nativi è correlata al fatto che gli immigrati tendono ad avere livelli di istruzione e competenze inferiori rispetto ai nativi, il che limita le loro prospettive occupazionali e il loro potenziale di guadagno; gli immigrati devono inoltre affrontare diverse barriere per accedere al mercato del lavoro, come la discriminazione, le difficoltà linguistiche, il mancato riconoscimento delle qualifiche straniere e le restrizioni legali. In generale, è più probabile che gli immigrati svolgano lavori precari e poco retribuiti, come contratti temporanei o part-time, che offrono meno tutele e benefici rispetto ai lavori regolari; gli immigrati hanno anche meno probabilità di ricevere trasferimenti sociali, come sussidi di disoccupazione, pensioni o assegni familiari perché non ne hanno diritto o perché non sono consapevoli dei loro diritti. Gli immigrati tendono a vivere in famiglie più numerose rispetto ai nativi, il che aumenta i loro bisogni e le loro spese, ma riduce anche il loro reddito pro capite, tenuto conto della destinazione di parte del reddito disponibile alle rimesse a beneficio dei familiari nei propri Paesi di origine.
L’Italia, come molti degli Stati membri dell’UE, registra un differenziale che penalizza gli immigrati, che hanno un tasso di povertà relativo più alto del 13,6% (sono poveri in termini relativi un terzo degli immigrati, più precisamente il 32,4%, mentre la percentuale scende al 18,7% tra i nativi italiani). I dati dell’UE riflettono una tendenza simile: nel 2021 il rischio di povertà o esclusione sociale era quasi doppio per le persone nate all’estero (36,1%) rispetto a quelle nate in patria (19,0%)6. Il Regno Unito, che incentiva l’immigrazione qualificata più di altri Paesi, registra un tasso di povertà relativa sostanzialmente identico tra le due comunità; Nuova Zelanda, Portogallo e Paesi latinoamericani come Colombia, Perù e Cile sono tra i pochissimi Paesi che hanno, invece, tassi di povertà più bassi tra gli immigrati che tra i nativi.
Un’altra informazione utile è quella relativa al tasso di occupazione degli immigrati in relazione al diverso motivo legale di soggiorno degli immigrati. Tuttavia, oltre all’UE (che dispone dei dati dell’European Labour Force Survey o EU-LFS 2021 al riguardo), sono pochi i Paesi che raccolgono dati in grado di collegare le due dimensioni.
6 https://ec.europa.eu/eurostat/statistics-explained/index.php?title=Migrant_integration_statistics_-
_at_risk_of_poverty_and_social_exclusion
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Graf. 3 – Tassi di occupazione dei nati all’estero in base al motivo della migrazione nell’UE. Persone di 15-64 anni che non vanno a scuola, 2021
%
100
90
80
70
60
50
40
30
20
Fonte: OECD, 2023
In generale, come prevedibile, gli immigrati che vengono per motivi di lavoro hanno i tassi di occupazione più alti, seguiti da quelli che vengono per motivi familiari. Gli immigrati giunti per motivi umanitari hanno, invece, i tassi di occupazione più bassi. L’integrazione degli immigrati per motivi umanitari e familiari, che in genere arrivano con un debole attaccamento al mercato del lavoro, richiede evidentemente più tempo. Tuttavia, la situazione varia molto tra i Paesi europei che ospitano i migranti: il tasso di occupazione degli immigrati con permesso per motivi di lavoro è del 59% in Grecia, mentre arriva al 93% a Malta e al 97% nella Slovacchia; nel caso dei migranti che hanno ottenuto il permesso per motivi familiari, invece, si va dall’Italia (che ha il tasso più basso per questo profilo di immigrati: 44%) all’Ungheria che ha un tasso del 77%. Infine, per quanto riguarda gli immigrati che hanno un permesso di soggiorno per motivi umanitari, si va da un tasso molto basso di Cipro (38%) a un tasso molto più alto in Portogallo (75%), ma anche in Lussemburgo (68%) e Italia e Croazia (67%).
Ovviamente, bisognerebbe incrociare il dato con altre dimensioni, a cominciare dal fatto che il tasso di occupazione degli immigrati dipende anche dalla durata del loro soggiorno nel Paese ospitante, con gli immigrati che soggiornano da più tempo che in genere hanno tassi di occupazione più elevati rispetto agli arrivi recenti. Un altro aspetto molto importante da considerare è che il tasso di occupazione degli immigrati nell’UE varia molto anche in base al loro status di cittadinanza: i cittadini di altri Stati membri dell’UE hanno un tasso di occupazione molto più alto rispetto ai cittadini non UE.
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Lavoro Famiglia Umanitario
Grecia Croazia Spagna Francia
Italia
UE (27)
Slovenia
Lussemburgo
Lettonia
Austria
Belgio
Polonia
Finlandia
Germania
Lituania
Cipro
Svezia
Norvegia
Portogallo
Irlanda
Danimarca
Estonia
Rep. Ceca
Ungheria
Malta
Slovacchia

A ben vedere, sono molti i fattori in gioco che andrebbero considerati per spiegare i diversi risultati in termini di inclusione/integrazione degli immigrati. L’Italia, per esempio, si caratterizza per essere un Paese con una quota significativa di immigrati per motivi di lavoro e una storia più recente di immigrazione, con una quota percentuale di immigrati sul totale della popolazione relativamente contenuto, in modo simile ad altri Stati membri dell’UE dell’Europa mediterranea come Portogallo, Spagna e Grecia. Invece, i Paesi nordici, come Danimarca, Norvegia e Svezia, ospitano una quota significativa di immigrati con un permesso di soggiorno per motivi umanitari. Altri Paesi, come Francia e Germania, hanno una lunga tradizione come Paesi di immigrazione (che adottarono durante il boom economico del secondo dopoguerra programmi per accogliere lavoratori ospiti non qualificati o immigrati per motivi di lavoro e rispettive famiglie provenienti dalle precedenti colonie) e ospitano una quota significativa di immigrati extra-UE.
I risultati dell’inclusione/integrazione variano, quindi, notevolmente da un Paese all’altro e non esiste una regola generale, dipendendo in larga misura dalla composizione della popolazione.
Le popolazioni di immigrati sono, comunque, in crescita in tutti i Paesi dell’UE e dell’OECD.
Nell’UE, quasi un quarto della popolazione di età pari o superiore ai 15 anni ha almeno un nonno di origine straniera.
Quello che i dati dell’OECD suggeriscono è che, complessivamente, nell’ultimo decennio si sono registrati progressi sostanziali in alcune aree, soprattutto per quanto riguarda l’integrazione degli immigrati nel mercato del lavoro così come i risultati scolastici dei figli degli immigrati (per quanto gli immigrati e i loro figli tendano sempre ad avere risultati economici e sociali peggiori rispetto ai nativi e ai loro rispettivi figli), il che sembra collegarsi a livelli di istruzione più alti degli immigrati di recente arrivo rispetto a quelli con una permanenza in Europa più lunga.
Tuttavia, il processo di un’inclusione e integrazione piena dei migranti regolarmente presenti nei Paesi OECD non ha risolto i suoi problemi. Per esempio, i tassi di disoccupazione dei nati all’estero superano quelli dei nativi in quattro Paesi su cinque membri dell’OECD e, in tutta l’UE, sono addirittura il doppio. Altro dato al riguardo, indipendentemente dal tipo di alloggio, gli immigrati hanno maggiori probabilità di vivere in alloggi sovraffollati e al di sotto degli standard rispetto ai nativi: più di un immigrato su sei vive in alloggi sovraffollati sia in ambito OECD che nell’UE, dove si registra un tasso superiore del 70% rispetto a quello dei nativi e dove il sovraffollamento è aumentato tra gli immigrati, mentre è diminuito tra i nativi.
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  1. Osservatorio regionale: le rotte migratorie del Mar Mediterraneo
    2.1 – L’importanza dei dati su stock e flussi migratori nel Mediterraneo
    In base ai dati pubblicati dalla Migration Division dello United Nations Department of Economic and Social Affairs (UNDESA)7, è possibile confrontare i dati relativi agli stock di migranti con quelli relativi ai flussi. Lo stock è il numero di migranti che risiedono in un Paese in un determinato momento e sono il risultato ultimo del saldo che negli anni si è andato accumulando. Il dato di stock fornisce un’istantanea della popolazione migrante, indipendentemente dal momento in cui è arrivata nel Paese o dalla durata della permanenza nel Paese ed è misurato utilizzando principalmente i dati dei censimenti o dei registri della popolazione, che possono fornire informazioni sulle caratteristiche dei migranti, come l’età, il sesso, il Paese di origine e il livello di istruzione.
    I flussi di migranti, invece, sono il numero di migranti che entrano o escono da un Paese durante un determinato periodo di tempo (di solito un anno solare). I flussi colgono l’aspetto dinamico della migrazione, fornendo informazioni sul numero di arrivi e partenze e sono dati che possono essere raccolti attraverso controlli alle frontiere, registri amministrativi o indagini.
    Ad esempio, lo stock di migranti dell’Italia nel 2020 era di 6,3 milioni, il che significa che in Italia vivevano 6,3 milioni di persone nate in un altro Paese. Il flusso di migranti dell’Italia nel 2019 era di 248.000, il che significa che in quell’anno si sono trasferite in
    7 La Divisione Popolazione di UNDESA collabora con gli altri membri della Rete delle Nazioni Unite sulle migrazioni nel sostenere l’attuazione del Patto globale per una migrazione sicura, ordinata e regolare. La Divisione produce anche stime sul numero di migranti internazionali – lo stock di migranti – a livello globale, regionale e nazionale. La serie di dati International Migrant Stock viene aggiornata regolarmente. Si veda: https://www.un.org/development/desa/pd/content/international-migration-1
    15

Italia 248.000 persone in più rispetto a quelle che hanno lasciato l’Italia in quell’anno. Gli stock e i flussi di migranti sono importanti indicatori dei modelli e delle tendenze migratorie, nonché dell’impatto sociale ed economico della migrazione sia sui Paesi di origine che su quelli di destinazione.
L’affidabilità e la disponibilità dei dati sullo stock e sul flusso di migranti dipendono da vari fattori, come le fonti, i metodi, le definizioni e la copertura dei dati. In pratica, i dati sullo stock di migranti sono generalmente più affidabili e disponibili di quelli sul flusso di migranti, perché si basano su statistiche ufficiali provenienti da censimenti, registri sulla popolazione che coprono la maggior parte dei Paesi e delle aree del mondo. Tuttavia, i dati sullo stock di migranti possono anche presentare alcune limitazioni, come le diverse definizioni di chi è un migrante, le diverse date di riferimento, i diversi livelli di disaggregazione e la diversa qualità e accuratezza, oltre che la dimensione più o meno ampia, a seconda dei Paesi, del fenomeno dei migranti irregolari che non affiorano nelle statistiche ufficiali.
I dati sul flusso di migranti sono più difficili da raccogliere e confrontare, perché richiedono una registrazione continua e coerente degli eventi migratori, come l’attraversamento delle frontiere, i permessi di soggiorno o le naturalizzazioni. Inoltre, a differenza dei dati sugli stock migratori, le stime sui flussi di migranti in entrata e in uscita per Paese di origine e di destinazione non sono disponibili a livello globale: attualmente, solo 45 Paesi – anzitutto i Paesi membri dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Organisation for Economic Co-operation and Development, OECD) – riportano i dati sui flussi migratori alle Nazioni Unite. In generale, i Paesi ad alto reddito, avendo maggiori risorse da investire nella raccolta e nell’analisi dei dati, dispongono di dati più affidabili e completi rispetto ai Paesi a basso e medio reddito. Inoltre, poiché la condivisione dei dati tra i Paesi è spesso limitata, risulta difficile tracciare il movimento dei migranti attraverso le frontiere. Infine, i dati sui flussi migratori possono avere fonti diverse, come registri amministrativi o indagini campionarie, che potrebbero non catturare tutti i tipi di movimenti migratori o utilizzare concetti e classificazioni differenti.
Il lodevole impegno, anzitutto dell’UNDESA, di compilare e armonizzare i dati sulla migrazione provenienti da un’ampia gamma di fonti per fornire un quadro più standardizzato e comparabile in termini di copertura globale, non previene, dunque, lacune e incoerenze nei dati, che riflettono le sfide insite nel misurare la migrazione in modo accurato e completo in contesti nazionali diversi.
Nel caso specifico della regione del Mediterraneo, la mancanza di un sistema standardizzato di raccolta dei dati sullo stock e sui flussi migratori rappresenta una sfida importante per la comprensione e la gestione della migrazione nell’area. Come ricordano costantemente le principali organizzazioni internazionali impegnate sul tema, a cominciare da UNDESA, OECD8, Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (International Organization for Migration, IOM)9 e Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (United Nations
8 L’OECD pubblica diversi rapporti e documenti sui temi legati alle migrazioni, che coprono temi quali le tendenze migratorie, le politiche, l’integrazione, le competenze, lo sviluppo e i dati. Oltre a numerosi paper, brief, documenti, newsletter e altro ancora, l’OECD pubblica annualmente il rapporto International Migration Outlook (IMO) sulle prospettive migratorie internazionali, che analizza i recenti sviluppi dei movimenti e delle politiche migratorie nei Paesi OECD. Si veda: https://www.oecd.org/migration/
9 Il Portale IOM dei dati sulle migrazioni fornisce alcuni esempi di iniziative e piattaforme che mirano a migliorare la disponibilità e la qualità dei dati sulle migrazioni nella regione, come la Displacement Tracking Matrix, il Mediterranean Missing Project e l’indagine MED-HIMS (Household International Migration Surveys in the 16

High Commissioner for Refugees, UNHCR)10, oltre all’UE, la regione del Mediterraneo è uno dei corridoi migratori più complessi e dinamici del mondo, con molteplici rotte, fattori e attori coinvolti. Tuttavia, i dati sulla migrazione in questa regione sono spesso incompleti, incoerenti o incomparabili, a causa delle diverse fonti, definizioni, metodologie e copertura dei dati. Ad esempio, alcuni Paesi possono riportare solo dati sui rifugiati o sui richiedenti asilo, mentre altri possono includere tutti i tipi di migranti; alcuni Paesi possono utilizzare registri amministrativi, come quelli relativi agli attraversamenti di frontiera o ai permessi di soggiorno, mentre altri possono basarsi su indagini o stime; alcuni Paesi possono comunicare i dati annualmente, mentre altri possono farlo in modo irregolare o non farlo affatto.
La mancanza di dati standardizzati sulla migrazione nella regione mediterranea ha diverse implicazioni per la definizione delle politiche e la percezione pubblica. In primo luogo, ostacola la capacità di monitorare e valutare l’efficacia e l’impatto delle politiche e degli interventi in materia di migrazione nella regione. In secondo luogo, limita la capacità di identificare e affrontare i bisogni e le vulnerabilità dei migranti e delle comunità ospitanti nella regione. In terzo luogo, contribuisce alla disinformazione e alla rappresentazione errata delle questioni e delle tendenze migratorie nella regione, che può alimentare atteggiamenti e stereotipi non correlati ai dati fattuali, creando un divario netto tra fatti da un lato e opinioni e attitudini dall’altro.
Una raccolta di dati più armonizzata e completa sullo stock e sui flussi migratori nella regione mediterranea, nonché un migliore coordinamento e collaborazione tra i produttori e gli utenti dei dati nella regione sarebbe pertanto auspicabile e urgente.
La regione mediterranea, nota per le sue complesse dinamiche migratorie, è, per di più, una regione eterogenea, con Paesi a diversi livelli di sviluppo economico e con diversi sistemi politici e sociali. Molti Paesi della regione mediterranea non hanno le risorse per investire in un sistema completo di raccolta dati sulla migrazione. Ciò rende difficile sviluppare un sistema standardizzato di raccolta dei dati sullo stock e sui flussi migratori, e, non esistendo tale sistema, la raccolta dei dati risulta impegnativa a causa delle diverse metodologie, definizioni e pratiche di raccolta dei dati nei vari Paesi e regioni.
2.2 – Lo Stock di immigrati nella regione mediterranea
Con le importanti precisazioni che precedono, la stima UNDESA a metà 2020 (1° luglio) del numero di persone che vivono in un Paese o in un’area diversa da quella in cui sono nate o, se il numero di nati all’estero non è disponibile, la stima del numero di persone che vivono in un Paese diverso da quello di cittadinanza ci fornisce il quadro più recente dello
Mediterranean countries). Questi sforzi possono contribuire a migliorare la base di dati per una migrazione informata ed efficace. Si veda: https://www.migrationdataportal.org/
10 L’UNHCR pubblica diversi rapporti e pubblicazioni sulle questioni legate alle migrazioni forzate. In particolare, il rapporto Global Trends presenta le principali tendenze statistiche e i numeri più recenti di rifugiati, richiedenti asilo, sfollati interni e apolidi in tutto il mondo, nonché il numero di persone che sono tornate nei loro Paesi o aree di origine. Si veda: https://www.unhcr.org/what-we-do/reports-and-publications
e https://data.unhcr.org/en/situations/mediterranean
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stock di immigrati presenti nella regione del Mediterraneo, preferendo qui trascurare invece la componente di emigrati fuoriusciti dai Paesi oggetto di attenzione.
Anzitutto, prendendo in considerazioni grandi aggregati sub-continentali, si può confrontare la situazione dello stock di immigrati dell’Europa meridionale11 con quella del Nord Africa12.
Fig. 1 – Confronto della composizione dello stock di immigrati in Europa meridionale e Nord Africa in base al livello di reddito dei Paesi di provenienza, 2020
Fonte: Elaborazione dati UNDESA 2022
L’Europa meridionale, il cui stock migratorio è in gran parte (il 94% del totale) concentrato nei sette Stati membri dell’UE, ha uno stock complessivo di 17,67 milioni di immigrati, pari all’11,58% della popolazione residente. Invece, il Nord Africa registra un numero sia assoluto che relativo molto più basso: 3,17 milioni di immigrati, pari all’1,26% della popolazione residente.
I livelli relativamente elevati di sviluppo economico e stabilità politica dell’Europa meridionale e la presenza di comunità di immigrati consolidate nei Paesi della stessa regione spiegano la differenza.
Oltre a questa differenza sostanziale, ce n’è un’altra da sottolineare perché distingue nettamente le due regioni non solo in termini quantitativi, ma anche in relazione al profilo
11 L’Europa meridionale comprende: Croazia, Grecia, Italia, Malta, Portogallo, Slovenia e Spagna (membri dell’UE) più Albania, Andorra, Bosnia ed Erzegovina, Gibilterra, Kosovo (ai sensi della risoluzione 1244 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite), Montenegro, Macedonia del Nord e Serbia (nella regione balcanica).
12 Il Nord Africa comprende: Algeria, Egitto, Libia, Marocco, Sudan, Tunisia e il territorio non autonomo del Sahara occidentale (conteso tra Marocco e Fronte Polisario).
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dello stock presente: nell’Europa meridionale risiedono soprattutto (72,21% del totale) immigrati provenienti da Paesi a reddito alto e medio-alto; all’opposto, nel Nord Africa risiedono soprattutto (83,74% del totale) immigrati provenienti da Paesi a reddito basso e medio-basso.
Come sempre dinanzi a fenomeni complessi non c’è un’unica spiegazione che determina questo diverso profilo dello stock di immigrati nelle due regioni e vanno presi in considerazione diversi fattori e diverse implicazioni.
Un primo elemento da considerare è che i livelli di reddito dei Paesi di origine dei migranti riflettono i legami storici e geografici tra l’Europa meridionale e il Nord Africa. Anzitutto, un fattore rilevante è l’effetto gravitazionale dei processi migratori: l’Europa meridionale è geograficamente più vicina ai Paesi ad alto reddito e a reddito medio-alto dell’Europa nel suo complesso e ciò rende più facile e meno costoso per le persone di questi Paesi migrare verso l’Europa meridionale. Una componente non trascurabile di migranti nell’Europa meridionale è, poi, rappresentata da discendenti di ex lavoratori ospiti arrivati negli anni Sessanta e Settanta. Le comunità di immigrati consolidate nell’Europa meridionale possono attirare ulteriore migrazione dagli stessi Paesi o da Paesi simili dal punto di vista socioeconomico, creando un ciclo di migrazione da Paesi a più alto reddito. Allo stesso modo, molti immigrati in Nord Africa sono rifugiati o richiedenti asilo sfuggiti a conflitti o persecuzioni nei loro Paesi d’origine e la regione attrae migranti soprattutto dai Paesi limitrofi a reddito basso e medio-basso a causa della vicinanza geografica, degli effetti di conflitti e instabilità delle regioni vicine e, in certi casi, dei legami linguistici o culturali condivisi.
Inoltre, è da considerare che i livelli di reddito dei Paesi di origine dei migranti riflettono anche le diverse politiche e preferenze migratorie dell’Europa meridionale e del Nord Africa: l’Europa meridionale è stata più aperta ad accogliere migranti provenienti da Paesi ad alto e medio reddito all’interno dell’Unione europea (UE) o dell’Associazione europea di libero scambio (European Free Trade Association, EFTA), come parte dell’accordo sulla libera circolazione delle persone. Inoltre, i migranti provenienti da Paesi a reddito elevato e medio-alto, in cerca di opportunità di lavoro, di un migliore tenore di vita o di un avanzamento dell’istruzione, tendono a subire meno discriminazioni e avere maggiori opportunità nell’Europa meridionale rispetto ai migranti provenienti da Paesi a reddito basso e medio-basso. L’Europa meridionale offre opportunità educative e professionali più diversificate che, come dimostrano i dati a livello mondiale, attraggono individui provenienti da Paesi a reddito medio-alto e alto. In ogni caso, il confronto tra due regioni non deve ignorare il fatto che non si tratta di un confronto su scala mondiale e, quindi, quel che appare come caratterizzante dell’Europa meridionale rispetto al Nord Africa perde di significatività laddove si confrontasse la stessa Europa meridionale con altri regioni europee, in cui la componente di migranti provenienti da Paesi ad alto reddito e ancora più significativa e riflette una strategia di attrazione di lavoratori immigrati altamente qualificati (cosiddetti high-skilled), mentre in Paesi come l’Italia tradizionalmente si è cercato di attrarre immigrati con bassi livelli di istruzione e qualifiche, determinando tensioni e competizione con i lavoratori autoctoni con lo stesso profilo.
D’altro canto, il Nord Africa è stato molto meno capace di attrarre migranti provenienti da Paesi ad alto reddito o medio reddito rispetto all’Europa meridionale, considerando lo scarso livello di integrazione regionale che ostacola una circolazione significativa di persone anche tra i Paesi (prevalentemente a reddito medio-alto) dello stesso Nord Africa.
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In pratica, questa dicotomia tra le due regioni riflette i più ampi modelli migratori globali, in cui gli individui si spostano per migliorare le proprie condizioni di vita, cercare sicurezza o perseguire nuove opportunità.
Una ulteriore dimostrazione del profilo molto diverso in termini di stock di immigrati sulle diverse sponde del Mediterraneo viene dal maggiore dettaglio relativo ai sub-continenti di origine dei migranti.
Fig. 2 – Confronto della composizione dello stock di immigrati in Europa meridionale e Nord Africa in base alle regioni di provenienza, 2020
Fonte: Elaborazione dati UNDESA 2022
Solo il 9,38% dello stock di immigrati presenti in Europa meridionale proviene dal Nord Africa (1,66 milioni di persone), meno di quanti provengono dall’America del sud (2,97 milioni di persone, pari al 16,82% del totale dello stock di migranti); la maggioranza degli immigrati proviene, invece, dalla stessa Europa (il 49,78% dello stock totale), anzitutto dalla stessa Europa meridionale, a conferma della validità del modello gravitazionale per spiegare le migrazioni internazionali.
Nel caso del Nord Africa, l’Africa orientale è l’area principale di provenienza (1,38 milioni di persone, pari al 47,36% dello stock totale di immigrati), seguita dall’Asia occidentale, cui si aggiunge il flusso intra-area all’interno del Nord Africa (solo il 12,17% dello stock totale): da queste tre regioni proviene il 90,56% dello stock totale di migranti.
Infine, il dettaglio maggiore si ha confrontando la situazione di alcuni Paesi delle due regioni in termini di nazionalità di origine dello stock di immigrati. A questo fine, si può confrontare la situazione di Paesi dell’Europa mediterranea come Grecia, Italia e Spagna,
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con quella di Paesi del Nord Africa, come Algeria, Egitto, Libia, Marocco e Tunisia, aggiungendo la Turchia (che ha un ruolo chiave nelle dinamiche migratorie della regione), oltre a Francia e Germania (due Paesi chiave nell’UE, con la Francia cha ha legami storici molto forti con i Paesi della sponda sud del Mediterraneo e la Germania che è il più grande Paese dell’Unione e ospita il 25% di tutti i residenti nati all’estero dell’Unione).
Fig. 3 – Confronto della composizione dello stock di immigrati in Europa e Nord Africa in base ai principali Paesi di provenienza, 2020
Fonte: Elaborazione dati UNDESA 2022
Il confronto mostra con immediata evidenza (in termini di colori che rappresentano le aree di appartenenza dei Paesi di origine degli stock di immigrati nei Paesi) come in Nord Africa prevalga uno stock di immigrati provenienti da aree di crisi, conflitti e instabilità (nel caso 21

di Algeria, Egitto e Libia le prime due comunità rappresentano almeno la metà del totale dello stock di immigrati e provengono da Palestina, Somalia, Siria e Sahara occidentale), anche collegati a siccità, desertificazione, cambiamenti climatici e altri fattori ambientali. Ciò non deve sorprendere dal momento che lo stock di migranti internazionali è il numero di persone nate in un Paese diverso da quello in cui vivono, includendo anche i rifugiati o coloro che si trovano in condizioni assimilabili a quelle dei rifugiati pur non avendo riconosciuto tale status. Il Marocco si distingue, in ragione della storia coloniale e della posizione geografica di porta d’accesso verso l’Atlantico, come are di tradizionale interesse per Francia e Spagna che in quel Paese hanno messo in campo una competizione politica ed economica più che altrove, il che si traduce nella presenza significativa di comunità francesi e spagnole. La Tunisia, invece, si caratterizza per essere un Paese che ospita soprattutto migranti della propria regione nord-africana, oltre che francesi. Ma, in numeri assoluti, sia in Marocco che in Tunisia la numerosità dello stock di immigrati è molto esigua rispetto a quella degli altri tre Paesi nord-africani (due dei quali – Algeria ed Egitto – hanno popolazioni molto più numerose rispetto agli altri Paesi della regione). La Libia è il Paese che ospita il maggior numero di migranti internazionali in Nord Africa e anche il Paese con la più alta percentuale di migranti internazionali nella sua popolazione: prima dell’esplosione di violenza in Libia nel 2011, il Paese era un’importante destinazione per i migranti per motivi di lavoro e in genere ospitava da 1,35 a 2,5 milioni di lavoratori migranti, la maggior parte dei quali lavorava nei settori dell’edilizia e della sanità, mentre alcuni lavoravano nei settori agricolo e manifatturiero. Nel 2011, quasi 800.000 migranti lasciarono il Paese, ma la Libia rimaneva una destinazione attraente per i migranti con qualifiche medio-basse, che cercavano di entrare nel Paese a causa dei salari competitivi e del continuo bisogno di manodopera migrante; inoltre, la Libia rimane un Paese di transito per molti migranti e richiedenti asilo che cercano di raggiungere l’Europa attraverso il Mar Mediterraneo e che spesso finiscono ‘intrappolati’ nel Paese, in cui purtroppo i casi di detenzione, abusi e torture perpetrati da gruppi armati, reti criminali o autorità sono frequenti e la costante crescita della tratta e del traffico di esseri umani aggiunge un ulteriore elemento di vulnerabilità dei migranti in Libia.
Per quanto riguarda la Turchia, lo stock di immigrati è quasi pari a quello presente in Italia (6 milioni, rispetto ai 6,4 milioni di immigrati in Italia), ma il profilo delle nazionalità è molto diverso: il gruppo di gran lunga più numeroso, circa 3,8 milioni di immigrati, è costituito da siriani, giunti in Turchia a causa del conflitto perdurante e che si sono registrati per la protezione temporanea. Il secondo gruppo più numeroso, distaccato ampiamente in termini assoluti dai siriani, è costituito dai bulgari, una nazionalità presente solo – ma con un ordine di grandezza molto inferiore – in Grecia. Le ragioni della presenza della comunità bulgara sono anzitutto storiche, perché Bulgaria e Turchia condividono una lunga storia di interazione, che risale al periodo medievale, quando l’Impero Ottomano dominava i Balcani e molti bulgari si convertirono all’Islam formando il gruppo etnico dei turchi bulgari. Questi nel corso degli anni emigrarono in Turchia, a seguito di persecuzioni e discriminazioni subite in Bulgaria, con un’intensificazione nel 1989, quando il regime comunista bulgaro lanciò una campagna di assimilazione forzata e di espulsione dell’etnia turca, vista come una minaccia all’identità e alla sicurezza nazionale. Contano anche le motivazioni tipicamente economiche: la Turchia è il Paese confinante più sviluppato e prospero della Bulgaria, che offre migliori condizioni di vita e prospettive di lavoro a molti migranti, soprattutto nei settori dell’agricoltura e del turismo, sfruttando anche la politica migratoria relativamente aperta, da parte della Turchia, nei confronti dei bulgari (i cittadini bulgari,
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infatti, hanno diritto a un soggiorno di 90 giorni senza visto in Turchia). La terza comunità presente è costituita dai migranti provenienti dalla Germania, numericamente un decimo dei siriani, che è una conseguenza della lunga storia di migrazione in direzione opposta, dalla Turchia alla Germania, nel XIX e XX secolo, che ha dato vita a una numerosa comunità turca in Germania, con numerosi parenti e amici in Turchia. Poco meno numerosi degli immigrati provenienti dalla Germania sono gli iracheni che, al pari della comunità dei siriani, definiscono un modello di immigrazione collegato a conflitti e a movimenti di persone che cercano sicurezza, protezione e migliori condizioni di vita. È questa una caratteristica simile a quella riscontrata in Nord-Africa, ma in questo caso è il risultato anche dell’accordo siglato nel 2016 da UE e Turchia con cui la Turchia si impegnava a bloccare il flusso migratorio dal suo territorio verso l’UE in cambio di fondi da Bruxelles da utilizzare per l’accoglienza ai rifugiati. Anche in Turchia sono da segnalare critiche frequenti per le violazioni dei diritti umani, la discriminazione, lo sfruttamento di migranti.
Infine, sul piano dell’UE, i cinque Stati membri presi in considerazione – tre più ‘esposti’ nelle rotte del Mediterraneo (Spagna, Italia e Grecia), uno meno ‘esposto’ pur affacciandosi sul Mar Mediterraneo (Francia) e uno nelle ‘retrovie’ delle sponde mediterranee (Germania) – evidenziano significative differenze rispetto ai Paesi sin qui analizzati, ma anche al loro interno. Sono, anzitutto, Paesi che registrano uno stock di immigrati elevato in termini assoluti, a cominciare dalla Germania (quasi 16 milioni di immigrati), ma anche Francia, Spagna e Italia, in ordine decrescente, mentre la sola Grecia ha un numero assoluto molto più modesto (1,3 milioni di immigrati).
In termini percentuali rispetto alla popolazione residente, però tutti cinque i Paesi dell’UE, mostrano valori molto superiori a quelli dei Paesi nord-africani: l’Italia è il Paese con la percentuale di immigrati più bassa (il 10,73% della popolazione residente), la Germania ha il valore percentuale più elevato (18,92%). La Germania, del resto, è il primo Paese di destinazione per i migranti internazionali in Europa e il secondo al mondo dopo gli Stati Uniti. Concorrono a spiegare questa peculiarità tedesca diversi fattori: la sua posizione geografica al centro dell’Europa, la sua economia forte e stabile, il suo sistema sociale e sanitario e la sua politica di accoglienza che risale al dopoguerra verso sfollati, profughi e lavoratori stranieri provenienti da vari Paesi europei ed extraeuropei (a cominciare dai cosiddetti gastarbeiter, ovvero i lavoratori ospiti provenienti principalmente dalla Turchia, dall’Italia, dalla Spagna e dalla Grecia, che contribuirono alla ricostruzione e allo sviluppo economico della Germania negli anni Cinquanta e Sessanta) e che arriva ai tempi recenti, con l’accoglienza di circa 1,2 milioni di richiedenti asilo tra il 2015 e il 2016, provenienti principalmente dalla Siria, dall’Iraq e dall’Afghanistan, simboleggiata dalla famosa frase pronunciata dall’allora cancelliera Angela Merkel (“Wir schaffen das”, equivalente a “Ce la faremo”), prima dell’accordo tra UE e Turchia.
L’Italia, al pari della Spagna, si distingue per un profilo di nazionalità incluse tra le prime dello stock di immigrati che non comprendono Paesi di origine segnati da conflitti, forte instabilità, da cui provengono molti richiedenti asilo, né Paesi a basso reddito. La prima comunità è quella degli immigrati provenienti dalla Romania e nel 2020 l’Italia ospitava circa un milione di rumeni. Questo è dovuto a diversi fattori, tra cui la vicinanza geografica e la conseguente facilità di trasporto, la similarità linguistica e culturale, la presenza di reti sociali e familiari, la domanda di lavoro nei settori agricolo, edile, industriale e domestico, considerando che i rumeni beneficiarono della liberalizzazione della migrazione dopo il 1989, nel 1999, i rumeni ottennero il diritto di viaggiare senza visto nello spazio Schengen,
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facilitando i flussi migratori verso l’Italia e altri Paesi europei, e nel 2007 la Romania entrò nell’UE, aumentando ulteriormente i legami economici e politici tra i due Paesi e permettendo ai rumeni di lavorare legalmente in Italia senza bisogno di permessi o autorizzazioni.
La Spagna, pur con caratteristiche simili all’Italia, si distingue da tutti gli altri Paesi inclusi nell’analisi per la presenza di ben tre Stati latinoamericani tra i primi cinque per numerosità dello stock di immigrati. Naturalmente, la storia coloniale della Spagna in America Latina ha stabilito legami profondi tra la Spagna e questi Paesi, compreso quello linguistico, rendendola una destinazione attraente per i migranti latinoamericani. Al contempo, ciò significa che la Spagna, diversamente dall’Italia, ospita comunità segnate da conflitti e instabilità: la crisi economica e umanitaria, l’iperinflazione e l’instabilità generale di Paesi come il Venezuela o i decenni di conflitto interno tra il governo, i ribelli delle Forze Armate Rivoluzionarie della Colombia (Fuerzas Armadas Revolucionarias de Colombia, FARC) e altri gruppi paramilitari in Colombia hanno spinto molti a cercare migliori prospettive economiche all’estero.
La Francia, invece, ha una storia coloniale che ha legato il suo destino a quello dei Paesi del Maghreb (Algeria, Marocco e Tunisia), avendo a lungo dominato questi territori, imponendo la sua lingua, la sua cultura e la sua amministrazione. Inoltre, la Francia ha promosso una politica di immigrazione che ha favorito l’arrivo dei nordafricani, reclutando molti lavoratori per sostenere la ricostruzione e lo sviluppo economico del Paese dopo le due guerre mondiali, concedendo il diritto di asilo e la protezione umanitaria a molti che fuggivano dalle violenze nei loro Paesi d’origine, facilitando anche il ricongiungimento familiare dei nordafricani che vivevano sul suo territorio. La domanda di lavoro nei settori agricolo, edile, industriale e domestico ha attratto molti nordafricani. Consistente è anche la comunità di immigrati dal Portogallo, in conseguenza della vicinanza geografica, degli stretti legami storici tra i due Paesi e del livello di reddito medio più basso in Portogallo rispetto alla Francia. La Francia, come mostra la mappa, è l’unico Paese europeo tra quelli considerati che ha una presenza significativa di nazionalità nord-africane ai primi posti per numero di immigrati.
La Grecia, infine, ha uno stock – come già segnalato – molto più contenuto nei numeri e che vede un’elevata concentrazione di albanesi (un terzo dello stock totale di immigrati). Ragioni di prossimità geografica (Albania e Bulgaria), i legami storici con la Georgia (in particolare, la presenza di una nutrita comunità di greci del Ponto – cioè, provenienti da zone a ridosso del Mar Nero – in Georgia, che sono poi emigrati in Grecia) concorrono a spiegare la presenza di comunità attratte da condizioni economiche migliori di quelle dei Paesi di origine, peraltro con la possibilità di farne un luogo di transito verso altre destinazioni dell’UE. In particolare, dopo il crollo del comunismo in Albania all’inizio degli anni Novanta, molti albanesi sono emigrati in Grecia in cerca di migliori opportunità economiche.
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2.3 – I recenti flussi migratori nella regione mediterranea
Il dato relativo allo stock di immigrati coglie la dimensione strutturale e di lungo periodo, ma può risultare fuorviante rispetto alle dinamiche migratorie più recenti in corso, che solo i dati sui flussi mensili e annuali possono cogliere e che tende a monopolizzare l’attenzione. Purtroppo, come anticipato, i dati regolari e dettagliati sui flussi sono disponibili in una minoranza di Paesi, anzitutto quelli OECD. Per questa ragione, la descrizione e analisi che segue si focalizza sulla sponda Nord del bacino del Mediterraneo, concentrando l’attenzione sui Paesi dell’UE più ‘esposti’ ai movimenti migratori, utilizzando OECD, Eurostat, FRONTEX, UNHCR e IOM come fonti dei dati.
In termini congiunturali, il primo dato da segnalare è sicuramente la guerra in Ucraina che ha innescato una serie di effetti diretti e indiretti sulle dinamiche migratorie in corso nella regione mediterranea. In via diretta, la guerra in Ucraina ha provocato il più grande sfollamento di cittadini europei dalla Seconda guerra mondiale, con donne e bambini che rappresentano la grande maggioranza dei rifugiati e richiedenti asilo, che ha investito direttamente l’UE, compresi i Paesi che si affacciano sul Mediterraneo, come l’Italia.
Nel marzo 2022 l’UE ha, infatti, attivato per la popolazione ucraina la direttiva sulla protezione temporanea, un regime di emergenza dell’UE utilizzato in circostanze eccezionali di afflusso massiccio per fornire protezione immediata e collettiva in termini di permesso di soggiorno, accesso al mercato del lavoro e all’alloggio, assistenza medica e accesso all’istruzione per i bambini. Si tratta di una mobilitazione eccezionale dinanzi a una crisi straordinaria, che è superiore di molti ordini di grandezza rispetto ai restanti flussi in ingresso.
Fig. 4 – Numerosità dei rifugiati ucraini che beneficiano della protezione temporanea nei diversi Stati membri dell’UE, fine luglio 2023
Fonte: EUROSTAT, 2023
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https://www.consilium.europa.eu/en/infographics/ukraine-refugees-eu/
La mappa aggiornata a fine luglio evidenzia (il diametro dei cerchi è proporzionale alla numerosità dei rifugiati ucraini nei diversi Stati dell’UE) come i principali Paesi dell’UE che ospitano beneficiari di protezione temporanea dall’Ucraina siano:

  1. Germania (1.153.865 persone)
  2. Polonia (971.080)
  3. Rep. Ceca (357.540)
    Per quanto riguarda i tre Paesi dell’UE meridionale più esposti ai flussi migratori provenienti dall’Africa, i dati sono:
  4. Spagna (182.615 persone)
  5. Italia (160.435)
  6. Grecia (25.335).
    Al contempo, focalizzando qui l’attenzione sulle dinamiche nel Mediterraneo, la guerra in Ucraina ha anche sconvolto il mercato energetico globale, provocando un’impennata dei prezzi e una carenza di forniture di petrolio e gas, e ha interrotto le forniture alimentari globali, poiché sia la Russia che l’Ucraina sono grandi esportatori di grano e altri prodotti agricoli. Ciò ha portato a un aumento dei prezzi dei prodotti alimentari in molti Paesi, compresi quelli della regione mediterranea, il che rende più difficile per le persone della regione permettersi il cibo e potrebbe aumentare la spinta a emigrare in cerca di una maggiore sicurezza alimentare, anche alla luce dell’instabilità nella regione. Si prevede, infatti, un impatto a lungo termine sulla sicurezza alimentare e il “Mediterraneo allargato” dovrebbe soffrire più di altre regioni di questi impatti a causa della sua importanza geopolitica e strategica13. Si tratta, cioè, di effetti a catena della guerra che aggravano la situazione umanitaria e le minacce già esistenti alla sicurezza e alla stabilità politica, nonché la prolungata stagnazione economica dovuta alla pandemia da COVID-19 nella regione, contribuendo potenzialmente alla pressione migratoria nel bacino del Mediterraneo14.
    Oltre al dato contingente degli effetti della guerra in Ucraina, sono rilevanti le conseguenze potenziali di calamità naturali sui flussi migratori. In particolare, i terremoti che hanno colpito la Turchia meridionale e la Siria settentrionale il 6 febbraio 2023 hanno avuto un profondo impatto sulla regione, colpendo milioni di persone e facendo temere un aumento della pressione migratoria, soprattutto verso l’Europa. Il disastro ha colpito circa 15,73 milioni di persone in tutta la regione di confine, lasciando oltre 5 milioni di persone in urgente bisogno di aiuto15. Il bilancio delle vittime ha raggiunto i 50.096 morti (tra cui almeno 6.800 rifugiati siriani presenti in Turchia), e 107.204 feriti, in base all’aggiornamento di fine settembre16; milioni di persone hanno perso la casa e circa 264.000 edifici sono crollati o rischiano di crollare17. Una parte significativa dei danni, il 53%, si è verificata nelle abitazioni, seguita dai danni alle strutture sanitarie e agli istituti
    13 https://www.insideover.com/politics/the-impact-of-the-ukraine-war-on-the-enlarged-mediterranean.html
    14 https://www.crisisgroup.org/middle-east-north-africa/impact-russias-invasion-ukraine-middle-east-and-north- africa#:~:text=The%20effects%20of%20the%20Ukraine,programs%20have%20exacerbated%20these%20problems
    15 https://reliefweb.int/report/turkiye/earthquake-turkiye-and-north-west-syria-flash-update-no-4-9-february-2023 e https://www.worldvision.org/disaster-relief-news-stories/2023-turkey-and-syria-earthquake- faqs#:~:text=World%20Vision%20is%20providing%20vital,in%20urgent%20need%20of%20aid
    16 https://reliefweb.int/report/turkiye/turkiye-earthquakes-operation-update-4-emergency-appeal-no-mdrtr004-30092023 17 https://www.dw.com/en/tallying-turkey-syria-earthquake-devastation-a-month-on/a- 64886940#:~:text=At%20least%2050%2C000%20people%20have,Millions
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scolastici18. Diverse organizzazioni umanitarie e agenzie delle Nazioni Unite hanno lanciato interventi di emergenza per aiutare le persone colpite dal terremoto e alleviare la crisi umanitaria19. L’IOM ha avvertito che i terremoti potrebbero portare a un forte aumento dei flussi migratori dalla regione nei prossimi mesi e, al contempo, ha invitato i Paesi della regione e non solo a fornire sostegno alla Turchia e alla Siria e agli sfollati, chiedendo anche ai Paesi di aumentare le quote di reinsediamento per i rifugiati provenienti dalla Turchia e dalla Siria20.
In questo contesto specifico, sono aumentate le preoccupazioni nell’UE che ha inasprito le misure migratorie in seguito alla possibilità che i devastanti terremoti possano innescare nuovi flussi di migranti irregolari, soprattutto considerando la vicinanza della Turchia e della Siria all’UE e l’instabilità nella regione21.
Le numerose sfide socio-economiche, ambientali e di sicurezza che fronteggiano, al pari degli effetti dei vari conflitti armati in corso nelle regioni limitrofe che subiscono, rendono i Paesi del Nord Africa attori chiave nelle dinamiche migratorie nel Mediterraneo. Si tratta di Paesi di origine, di transito e di destinazione dei migranti che, per la loro vicinanza geografica e la condivisione del bacino del Mar Mediterraneo, attraversato dalle rotte migratorie verso l’Europa, stanno registrando crescenti sforzi di cooperazione in materia di migrazione da parte dell’UE e dei suoi Stati membri, incentrati principalmente (ma non esclusivamente) sulla lotta alla migrazione irregolare, ovvero una componente specifica e non maggioritaria dei flussi migratori annuali. Il caso che interessa direttamente l’Italia e, quindi, è il più noto, è il Memorandum che la Commissione europea sta negoziando, con un attivo coinvolgimento dell’Italia, con la Tunisia dall’inizio dell’estate del 2023, ma è utile ricordare per esempio quello del 2022 che ha interessato il Marocco, con un attivo coinvolgimento della Spagna. Si tratta di Paesi inseriti in rotte diverse che collegano i flussi migratori che partono o transitano per il Nord Africa e sono diretti verso l’Europa.
i. La Spagna e la rotta occidentale
Le rotte che collegano Marocco e Spagna sono identificate come il Mediterraneo occidentale, per millenni un punto di passaggio tra il Nord Africa e la Spagna. In pratica, comprende diverse rotte secondarie, tra cui i viaggi via mare dal Marocco e dalla costa occidentale dell’Algeria attraverso lo Stretto di Gibilterra e il Mare di Alborán verso la Spagna continentale, nonché la rotta via terra verso le enclave spagnole di Ceuta e Melilla nell’Africa settentrionale.
La migrazione irregolare verso la Spagna è un fenomeno comune da quando, nel 1991, la Spagna introdusse l’obbligo di visto per molti Paesi nordafricani nell’ambito del processo di Schengen. I migranti che viaggiano su questa rotta partono dal Marocco, considerando che
18 https://reliefweb.int/report/turkiye/devastating-earthquakes-southern-turkiye-and-northern-syria-friday-16-march- 2023-situation-report-17- entr#:~:text=According%20to%20the%20current%20assessment,damage%20to%20health%20facilities%2C%20educat ional
19 https://news.un.org/en/story/2023/02/1133177#:~:text=syria,crisis%2C%20UN%20aid%20agencies%20have 20 https://reliefweb.int/report/syrian-arab-republic/syria-turkiye-earthquake-response-ster-situation-report-1-14- february-2023
21 https://balkaninsight.com/2023/02/10/eu-agrees-stricter-migration-measures-after-quakes-in-turkey- syria/#:~:text=The%20EU%20has%20agreed%20on,Syria%20could%20prompt%20new%20flows
27

la distanza tra la Spagna e il Marocco è di soli 14,4 km nel punto più vicino, e i marocchini stessi risultano essere la nazionalità più comune a raggiungere la Spagna attraverso il Mediterraneo occidentale, nella maggior parte dei casi si tratta di giovani uomini. Tuttavia se, fino a quindici anni fa, la stragrande maggioranza dei migranti che viaggiavano dal Marocco alla Spagna erano tipicamente migranti economici provenienti dal Marocco stesso e dall’Algeria, sperando di trovare lavoro in Europa, da allora, a loro si sono sempre più uniti gli africani sub-sahariani, spinti verso nord dai conflitti nel Sahel.
Al contempo, infatti, a sud del Marocco la pressione migratoria in Africa occidentale è maggiore che in qualsiasi altra regione del continente e molti migranti tradizionalmente passavano attraverso gli snodi regionali che da secoli fungono da punti di scambio trans- sahariani – Agadez, Arlit, Dirkou e Gao – dove il traffico di migranti costituisce una parte significativa dell’economia.
Dunque, le principali rotte migratorie dall’Africa occidentale coinvolgono oggi anche Paesi dell’Africa sub-sahariana:

  • la rotta marittima da Senegal, Mauritania e Marocco verso le isole Canarie spagnole, o rotta dell’Africa occidentale, in passato la principale rotta irregolare verso la Spagna che raggiunse un picco di oltre 31.000 attraversamenti registrati nel 2006, la cosiddetta crisi dei Cayucos, nome delle barche da pesca del Senegal e della Mauritania
  • la rotta terrestre dal Niger, utilizzata da migranti in gran parte in rotta verso i Paesi del Nord Africa, come la Libia e l’Algeria, in alcuni casi per poi proseguire verso l’Europa attraverso la rotta del Mediterraneo centrale.
    La rotta dell’Africa occidentale si associa, così, agli arrivi irregolari nelle Isole Canarie, nell’Oceano Atlantico, e in Spagna di migranti che partono principalmente da Marocco, Sahara occidentale, Mauritania, Senegal e Gambia e intraprendono pericolosi viaggi lungo la costa dell’Africa occidentale. La distanza percorsa varia da meno di 100 chilometri dal punto più vicino sulla costa africana a più di 1.600 chilometri dal Gambia. I migranti transitano, dunque, attraverso il Marocco, ma anche l’Algeria (in particolare, dalla metà degli anni 2010 si registra un piccolo ma crescente numero di partenze in barca verso la Spagna continentale dalla costa occidentale dell’Algeria), per raggiungere in modo irregolare la Spagna.
    Nel novembre 2015 il vertice di La Valletta sulla migrazione riunì i capi di Stato e di governo europei e africani nel tentativo di rafforzare la cooperazione e affrontare le sfide attuali e anche le opportunità derivanti dalla migrazione22. Il Fondo fiduciario di emergenza dell’UE per l’Africa fu lanciato dai partner europei e africani in occasione di quel vertice23.
    Nel 2018, la rotta del Mediterraneo occidentale divenne la rotta più utilizzata dai flussi migratori irregolari verso l’Europa. A seguito del notevole aumento degli arrivi registrato nel 2018 su quella rotta (57.034 secondo FRONTEX), l’UE avviò una serie di nuove iniziative con i paesi partner, tra cui una cooperazione intensificata nell’ambito del
    22 https://www.consilium.europa.eu/en/meetings/international-summit/2015/11/11-12/
    23 Ad oggi sono state approvate 248 azioni nelle tre regioni coperte dal Fondo fiduciario dell’UE per l’Africa (Nord Africa, Sahel e Lago Ciad, Corno d’Africa), per un importo complessivo di circa 4,9 miliardi di euro di finanziamenti; fondi specifici sostengono progetti e attività che affrontano le cause profonde della migrazione irregolare e migliorano la gestione della migrazione nei principali Paesi di origine e transito. Si veda: https://trust-fund-for- africa.europa.eu/index_en
    28

partenariato UE-Marocco. Tra i settori interessati dalla cooperazione con il Marocco figurano:

  • Gestione delle frontiere
  • Integrazione socioeconomica
  • Sostegno istituzionale e sviluppo delle capacità
  • Protezione e diritti dei migranti
    Dopo il picco di arrivi nel 2018, gli arrivi sono diminuiti costantemente dal 2019 in poi a causa di una serie di fattori: anzitutto i maggiori sforzi del Marocco per combattere le migrazioni irregolari, la stretta cooperazione tra Marocco, Spagna e UE e, infine, la pandemia da COVID-19.
    Per quanto riguarda gli sforzi per combattere le migrazioni irregolari, l’Agenzia europea della guardia costiera e di frontiera FRONTEX assiste la Spagna nel controllo delle sue frontiere esterne e nella gestione di vari tipi di criminalità transfrontaliera, tra cui il traffico di esseri umani, attraverso operazioni marittime congiunte come le operazioni Indalo, Hera, Minerva e Focal Points Sea24. Gli ufficiali, le navi e gli altri mezzi di sorveglianza dispiegati dall’agenzia assistono le autorità nazionali nella sorveglianza delle frontiere e nella ricerca e soccorso.
    La complessa situazione alle frontiere marocchine era balzata agli onori della cronaca nel giugno del 2022, quando almeno 23 persone, per lo più provenienti dal Sudan e dal Sudan del sud, persero la vita mentre tentavano, insieme ad altre 2.000 persone, di entrare in territorio spagnolo a Melilla, la città autonoma spagnola – insieme a Ceuta – situate in Nord Africa. L’escalation delle tensioni legate alla rivendicazione dell’indipendenza da parte del Fronte Polisario aveva ulteriormente accentuato il rischio di instabilità e di maggiori flussi migratori attraverso il Mediterraneo. Inoltre, le complesse situazioni politiche e di sicurezza nella regione del Sahel in generale tendono a determinare una maggiore pressione migratoria verso i Paesi del Nord Africa, come il Marocco.
    Nell’ultimo periodo, il Marocco ha così visto rafforzarsi il suo ruolo centrale nella gestione dei flussi migratori verso l’Europa, grazie a partenariati per la gestione delle frontiere e la lotta alle migrazioni irregolari con l’UE e la Spagna.
    Infatti, in seguito alla tragedia di Melilla si tennero incontri ad alto livello tra funzionari della Spagna, della Commissione europea e del Marocco, che portarono al riconoscimento dei pericoli posti dalle reti di traffico di esseri umani (cosiddetto smuggling), cioè il favoreggiamento all’ingresso illegale assistito, a fini di lucro, di esseri umani e della necessità di una cooperazione rafforzata.
    https://www.frontex.europa.eu/media-centre/news/focus/focus-on-western-mediterreanean-route-frontex-in-spain- isGpCE#:~:text=Frontex%2C%20the%20European%20Border%20and%20Coast%20Guard%20Agency%2C,covering %20the%20months%20of%20the%20highest%20migratory%20pressure.
    24
    29

6.000 5.000 4.000 3.000 2.000 1.000
0
In particolare, a luglio del 2022 la Commissione europea annunciò due nuovi “partenariati operativi” con il Marocco (e il Niger) volti a prevenire e punire il traffico di esseri umani25. Tale tipo di partenariato si concentrava su diverse aree, tra cui:

  1. sostegno alla gestione delle frontiere.
  2. rafforzamento della cooperazione di polizia, comprese le indagini congiunte.
  3. sensibilizzazione sui pericoli della migrazione illegale.
  4. cooperazione rafforzata con le agenzie dell’UE responsabili degli affari interni.
  5. Rafforzamento delle misure contro il traffico di esseri umani26.
    In base ai dati disponibili, a seguito di tali accordi, siglati nel luglio del 2022, si è registrato un numero annuale di attraversamenti irregolari sulla rotta occidentale del Mediterraneo in diminuzione, con un calo negli arrivi mensili registrato sino a maggio del 2023, dopodiché, da giugno a settembre 2023, il flusso è molto aumentato, rispetto a quelli dello stesso mese dell’anno precedente (considerando che il dato di settembre 2023 è parziale, perché aggiornato al 17 settembre e non al 31 dicembre). Il confronto, mese per mese, tra i flussi del 2022 e quelli del 2023, mostra questo andamento, senza che si possa con certezza attribuire un nesso causale ferreo tra accordi e variazione degli attraversamenti.
    Graf. 1 – Afflussi in Spagna dalla rotta occidentale: arrivi mensili nel 2022 e 2023
    Feb
    2022
    Fonte: UNHCR (22 settembre 2023).
    Gen
    Mar Apr
    Mag Giu
    Lug Ago
    Set Ott
    Nov Dic
    2023 (al 17 settembre)
    In una prospettiva di più lungo periodo, che non si limita a confrontare i dati di un mese del 2023 rispetto a quelli dello stesso mese dell’anno precedente, abbracciando l’arco temporale
    https://www.statewatch.org/news/2022/july/eu-tracking-the-pact-new-operational-partnerships-with-morocco-and- niger/#:~:text=21%20July%202022%20Last%20week,preventing%20and%20punishing%20human%20smuggling
    26 https://ec.europa.eu/commission/presscorner/detail/en/IP_22_4388
    25
    30

2017-2023 e al di là di un dato annuo per il 2023 che, salvo significative variazioni, dovrebbe superare quello del 2022, si evidenzia una persistenza strutturale del fenomeno degli attraversamenti irregolari lungo la rotta occidentale del Mediterraneo, con piccole oscillazioni, ovvero senza segnali di improvvisi e drastici aumenti.
Graf. 2 – Spagna: arrivi annuali 2017- 2023*
60.000 50.000 40.000 30.000 20.000 10.000
0
57.034
41.861 41.945
23.063 9.990
2016 2017
31.219
21.780
7.004
2015
2018 2019
2020 2021 2022
2023*
23.967

  • aggiornamento a fine agosto 2023 Fonte: FRONTEX, 2023.
    Sul fronte del partenariato, nel dicembre 2022 i partner dell’UE e africani hanno lanciato le iniziative Team Europe (TEI) che si concentrano sulle rotte del Mediterraneo occidentale e dell’Africa occidentale per garantire sforzi per affrontare le sfide migratorie. Ciò include un’iniziativa specifica che mobilita 950 milioni di euro per collaborare con i partner africani27.
    I dati più recenti di FRONTEX, comunque, documentano come, al di là del coinvolgimento di migranti provenienti dall’Africa sub-sahariana che utilizzano la rotta occidentale, permane il connotato prevalente di migrazioni nord-africane (anzitutto marocchini, poi algerini) per quanto riguarda questa rotta.
    27 https://ec.europa.eu/commission/presscorner/detail/en/IP_22_7540 31

Graf. 3 – Principali nazionalità di arrivo per la rotta occidentale (2023)
Marocco Algeria Non conosciuta Siria Bangladesh
Fonte: FRONTEX, 2023.
Per restare al terminale europeo di approdo della rotta occidentale del Mediterraneo, ovvero la Spagna, oltre ai dati strutturali di stock migratorio analizzati in precedenza e a quelli relativi ai flussi di migrazioni irregolari che provengono e, in misura minore, transitano per il Marocco, è da considerare come il dato dei flussi migratori annuali sia, ovviamente, molto più e altro rispetto a quelli irregolari provenienti dall’Africa. Dal 2015 la Spagna è tornata a essere, nel complesso, un Paese destinatario netto di immigrati, dopo anni di crisi in cui i migranti in partenza erano più numerosi di quelli in arrivo (tra il 2010 e il 2014). Il picco degli arrivi registrati da UNHCR si ebbe nel 2018, anno in cui contemporaneamente gli afflussi netti di cittadini stranieri raggiunse 330.000 persone, secondo le statistiche sulla migrazione dell’Istituto nazionale di statistica. Si è trattato di un cambiamento nei flussi complessivi legato al miglioramento delle prospettive economiche in Spagna e non a ragioni come la crisi dei rifugiati, considerando che solo la minima parte dell’afflusso annuale giunge in Spagna per motivi umanitari28, mentre la maggior parte degli afflussi è costituita da persone con diritto alla libera circolazione, con permessi di immigrazione per motivi familiari o di lavoro, secondo i dati dell’OECD. Questa specificità si riflette anche nell’assenza di Paesi africani tra quelli che risultano ai primi posti come Paesi di origine degli immigrati, sia sul fronte dello stock (come già visto), sia su quello degli afflussi totali annuali.
Tab. 1 – Afflusso totale di popolazione straniera in Spagna per nazionalità, confronto tra 2019, 2016 e periodo cumulato 2016-2019
2019
Totale 664.557
2016
Totale 352.174
Marocco 29.712
Romania 28.629 Colombia 22.594 Italia 21.667
2016-2019
Totale 2.030.679
Marocco 203.266
Colombia 186.526 Venezuela 154.952 Romania 115.882
Colombia
Marocco
Venezuela Italia
76.524
72.778
57.700 33.312
28 A partire dal 2015, la crisi dei rifugiati non ha portato a ingressi in Spagna per motivi umanitari della portata vista in altri Paesi come la Germania. Nel complesso, le domande di asilo sono aumentate fino a raggiungere la soglia delle 53.000 nel 2018, in particolare provenienti da Venezuela, Colombia e Siria. In quell’anno di ‘picco’, solo 1 domanda di asilo su 4 è stata accettata in Spagna.
32

  Regno Unito Honduras Perù Romania Argentina Nicaragua Brasile Cuba

Cina
Francia Paraguay Pakistan Ecuador Germania
USA
Russia Portogallo
Rep. Dominicana Ucraina
India Bolivia Messico
El Salvador
29.290 Regno Unito 18.549 28.950 Venezuela 18.507 28.515 Honduras 10.895 27.120 Cina 10.215
Italia 115.052
17.877 Brasile
17.060 Francia
16.538 Rep. Dominicana 14.101 Perù
12.213 Germania 12.092 Paraguay
11.947 Ucraina
11.623 Ecuador
10.653 Pakistan
9.436 Argentina 9.114 Russia 9.001 Portogallo 8.681 USA 8.655 Cuba 8.048 Bolivia
Bulgaria
Algeria
7.143 Nicaragua 6.185 Messico 6.170 Senegal 6.030 India
9.715 9.338 8.058 7.954 7.253 7.169 6.876 6.762 6.371 6.352 6.236 5.949 5.918 5.871 5.272 5.150
4.434
4.110 3.849 3.830 3.792
Regno Unito Honduras Perù
Brasile
Cina
Francia Argentina
Cuba
Nicaragua Paraguay Ecuador Germania
Rep. Dominicana Pakistan Portogallo Ucraina
USA Russia Bolivia Algeria India Senegal Bulgaria Messico
93.048 81.566 69.683 54.260 45.797 44.600 44.097 39.306 38.734 36.783 35.545 35.188 34.479 33.302 31.080 30.868 30.702 30.299 23.880 23.123 22.682 22.614 22.172 20.394
Senegal 7.808
Algeria 7.438
Fonte: OECD Stat, International Migration Database, 2023.
Come appare chiaramente scorrendo la lista delle principali nazionalità presenti considerando l’afflusso complessivo di migranti, l’Africa non è protagonista di questa dinamica, anche se complessivamente, sommando i dati delle prime nazionalità presenti in tabella, si registrano oltre 88.000 africani nel 2019. L’unico Paese africano in cima alla lista dei principali Paesi di origine dei flussi annuali degli ultimi anni, per i quali l’OECD rende disponibile l’informazione, è il Marocco, confermando in ciò il dato di stock. Il Marocco, a sua volta, è un Paese sia di emigrazione che di immigrazione ed è un Paese, molto più di quelli dell’Africa sub-sahariana, le cui principali destinazioni degli emigranti sono Francia, Spagna e Italia. Al contempo, il Marocco ospita sempre più spesso richiedenti asilo e rifugiati: la popolazione di rifugiati in Marocco è quasi raddoppiata dal 2019 al 2022, mentre il numero complessivo di richiedenti asilo è triplicato. Secondo i dati della fine del 2022, circa 19.000 persone sono state registrate come richiedenti asilo o rifugiati nel Paese. Le prospettive economiche relativamente stabili del Marocco hanno reso il Paese sempre più attraente come destinazione per i lavoratori migranti di origine subsahariana.
In Spagna, invece, gli afflussi di migranti hanno permesso alla popolazione spagnola di aumentare nuovamente dopo diversi anni di crescita negativa o stagnante in un contesto di invecchiamento della popolazione.
33

ii. L’Italia e la rotta del Mediterraneo centrale
La rotta del Mediterraneo centrale è la traversata oltremare dal Nord Africa all’Italia e, in misura molto minore, a Malta. I migranti che percorrono questa rotta mirano generalmente a raggiungere le coste italiane, partendo da diversi Paesi nordafricani che si affacciano sul Mediterraneo. Sebbene negli anni passati la maggior parte dei migranti sia partita dalla Libia, che è stata a lungo una destinazione per i migranti oltre che un Paese di transito (il che contribuì allo sviluppo di reti di trafficanti ben consolidate in Libia), col tempo si è registrato un numero proporzionalmente crescente di partenze da Tunisia, Egitto e Algeria, rispetto al piccolo numero iniziale. La Tunisia, in particolare, ha registrato un aumento delle partenze a partire dall’agosto 2017, in concomitanza con il calo della rotta attraverso la Libia: secondo la Displacement Tracking Matrix dell’IOM, dalla Tunisia si registrava oltre il 60% degli attraversamenti del Mediterraneo centrale già nel 2020. Dopo il periodo eccezionale legato agli effetti della pandemia da COVID-19, la Tunisia è diventata ora il principale punto di imbarco sulla rotta del Mediterraneo centrale, con l’Italia come destinazione e con un numero significativo di migranti provenienti inizialmente soprattutto dalla Tunisia stessa, ma poi anche da vari Paesi dell’Africa sub-sahariana.
I dati del Ministero dell’interno mostrano come nel triennio 2021-2023 si sia registrato un incremento progressivo degli sbarchi in Italia, passando da 67.477 migranti sbarcati nel 2021 a 105.131 nel 2022 e 135.941 nel 2023 (nei primi nove mesi soltanto).
Graf. 4 – Confronto mensile numero di migranti sbarcati nel 2021, 2022 e 2023 in Italia
Fonte: Ministero dell’interno, ottobre 2023
34

Nel 2023, in tutti i mesi da gennaio a settembre, con l’eccezione di maggio, si è registrato un significativo aumento degli sbarchi rispetto al 2022, che a sua volta aveva registrato maggiori sbarchi mensili rispetto al 2021.
Prendendo in considerazione solo i primi 9 mesi dell’anno, i 135.941 migranti sbarcati nel 2023 rappresentano un incremento dell’86,9% rispetto agli stessi mesi dell’anno prima che, a sua volta, rappresentava un incremento del 51,6% rispetto agli stessi mesi del 2021.
Estendendo a ritroso nel tempo il confronto, il 2021 fu, a sua volta, un anno di significativo incremento con un numero di sbarchi in Italia quasi raddoppiato rispetto a quello degli sbarchi nel 2020 (34.154 migranti sbarcati nel corso dell’anno) che, a sua volta, aveva registrato un numero triplicato rispetto a quello del 2019 (11.471 migranti sbarcati nel corso dell’anno), che aveva rappresentato l’anno con il numero più basso di sbarchi, circa la metà dell’anno precedente (23.370 sbarchi nel 2018).
Per ritrovare numeri annui di sbarchi superiori a 100.000 bisogna risalire al 2017 (119.310 sbarchi) e al picco del 2016 (181.436), che aveva superato il dato del 2015 (153.842 sbarchi), anno eccezionale a livello europeo, essendo stato l’unico anno in cui gli sbarchi di migranti irregolari sulle coste dell’UE superarono il milione di persone.
Graf. 5 – Italia: sbarchi annuali 2015- 2023*
200.000 180.000 160.000 140.000 120.000 100.000
80.000 60.000 40.000 20.000
0
181.436 153.842
135.941
119.310
23.370
11.471
47.959 34.154
72.721
2015 2016 2017 2018 2019
2020 2021
2022 2023

  • aggiornamento al 6 ottobre 2023
    Fonte: elaborazione dati Ministero dell’interno, ottobre 2023
    35

In una prospettiva di lungo periodo, è bene ricordare che, tra il 1997 e il 2010, una media di circa 23.000 migranti arrivò in Italia ogni anno attraverso il Mediterraneo, anche se il numero di arrivi registrati scese a meno di 10.000 tra il 2009 e il 2010. Nel 2011, il numero di migranti arrivati in Europa attraverso la rotta del Mediterraneo centrale aumentò drasticamente: in Italia, infatti, furono registrati 62.692 arrivi via mare, un aumento di 13 volte rispetto ai 4.406 registrati nel 2010. Gli arrivi di migranti in Italia sono rimasti elevati e crescenti negli anni successivi al 2011 fino al 2016, poi – come ricordato e mostrato nel grafico, sono calati dal 2017, in particolare a partire dall’inizio del mese di luglio, dimezzando il numero degli sbarchi rispetto allo stesso mese del 2016.
Pur non trattandosi di analisi scientificamente rigorose, ma di valutazioni sul terreno, le organizzazioni internazionali come IOM e non governative come Amnesty International attribuirono il significativo calo a cominciare dal luglio 2017 anzitutto ad un maggiore controllo alle frontiere nei Paesi dell’Africa sub-sahariana interessati dai flussi migratori (allora, Sudan e Niger, soprattutto), solo secondariamente avrebbe contribuito il maggior numero di intercettazioni di migranti da parte delle autorità nordafricane (le guardie costiere e i sindaci della Libia, in cui governo aveva firmato un accordo a inizio febbraio con quello italiano, allora presieduto da Paolo Gentiloni e con il ministro dell’interno Marco Minniti), mentre sarebbe risultata ininfluente, invece, la successiva firma del codice di comportamento in mare delle Organizzazioni non governative (ONG), risalente alla fine di luglio. Indubbiamente, dal 2017 aumentò il numero di persone rimpatriate sulle coste nordafricane, il che peraltro creò molte preoccupazioni e critiche a causa dei maltrattamenti e violenze registrate nei contri di detezione libici. Nel 2016 le intercettazioni da parte delle guardie costiere tunisine e libiche rappresentavano l’8% di tutte le operazioni di ricerca e soccorso nel Mediterraneo centrale, ma nel 2018 il 49% del numero totale di persone registrate che tentarono la traversata fu riportato in Libia e, in misura minore, in Tunisia.
Nel febbraio 2017 i leader dell’UE concordarono nuove misure per ridurre gli arrivi irregolari lungo la rotta occidentale. Si impegnarono a rafforzare la cooperazione con la Libia e a contrastare il traffico di migranti29. Nel luglio 2017 l’UE adottò un programma da 42 milioni di euro per aiutare le guardie costiere e di frontiera libiche a gestire meglio le frontiere del paese. Nel novembre 2017 l’UE istituì una task force congiunta sulle migrazioni con l’Unione africana e le Nazioni Unite. La task force mirava a unire gli sforzi e rafforzare la cooperazione per rispondere alle sfide migratorie in Africa e in particolare in Libia. Ciò permise di avviare un programma di rimpatrio umanitario volontario assistito, gestito dall’IOM: si tratta di un programma per aiutare i migranti bloccati in Libia intenzionati a tornare volontariamente nei propri Paesi di origine che, secondo i dati ufficiali, avrebbe facilitato il rimpatrio dalla Libia di oltre 65.000 migranti tra il 2017 e il 2022. Nel caso, invece, dei migranti bloccati in Libia e non disposti a tornare volontariamente nei Paesi d’origine dove la sicurezza personale era a rischio, fu istituito un
29 https://trust-fund-for-africa.europa.eu/where-we-work/regions-countries/north-africa/libya_en 36

programma sempre nel 2017 di evacuazione e reinsediamento per affrontare questo problema, il cosiddetto meccanismo di transito di emergenza, finanziato dall’UE e gestito dall’UNHCR. In base ai dati ufficiali, oltre 5.340 persone bisognose di protezione partirono dalla Libia verso centri in Niger e Ruanda tra il 2017 e il 202230.
Nel giugno 2018 i leader dell’UE chiesero ulteriori misure per ridurre la migrazione irregolare sulla rotta del Mediterraneo centrale, convenendo, tra l’altro, di:

  • intensificare gli sforzi per fermare i trafficanti di migranti operanti dalla Libia o altrove
  • continuare a sostenere l’Italia e altri paesi dell’UE in prima linea
  • aumentare il sostegno alla guardia costiera libica, condizioni di accoglienza umane e
    il ritorno volontario nei Paesi di origine dei migranti bloccati in Libia
  • rafforzare la cooperazione con altri Paesi di origine e di transito e in materia di
    reinsediamento.
    Nel luglio 2019 l’UE approvò cinque nuovi programmi relativi alla migrazione in Nord Africa per un totale di 61,5 milioni di euro. I progetti comprendevano la protezione e l’assistenza per i rifugiati e i migranti vulnerabili, il miglioramento delle condizioni di vita e della resilienza dei libici e la promozione della migrazione e della mobilità del lavoro. Questi programmi furono adottati nell’ambito del Fondo fiduciario di emergenza dell’UE per l’Africa, l’EUTF, istituito nel novembre 2015 per affrontare le cause profonde degli sfollamenti forzati e della migrazione irregolare e contribuire a una migliore gestione della migrazione.
    Nel giugno 2021 il Consiglio dell’UE prorogò il mandato della missione dell’UE di assistenza alle frontiere in Libia (EU Border Assistance Mission in Libya, EUBAM Libya), lanciata nel 2013, di altri due anni, fino al 30 giugno 2023, approvando un bilancio di 84,85 milioni di euro per il periodo dal 1o luglio 2021 al 30 giugno 2023. La missione sostiene le autorità libiche nello sviluppo della gestione e della sicurezza delle frontiere terrestri, marittime e aeree del paese31. Il mandato è stato rinnovato ed esteso dalla decisione del Consiglio dell’UE (26 giugno 2023) fino a giugno 2025.
    Nel novembre 2022, a causa del significativo aumento della pressione migratoria sulla rotta, la Commissione europea ha presentato un piano d’azione dell’UE sul Mediterraneo centrale per affrontare le numerose sfide lungo la rotta. Il piano d’azione propone 20 misure volte a ridurre la migrazione irregolare e non sicura, fornire soluzioni alle sfide emergenti nel settore della ricerca e del soccorso e rafforzare la solidarietà bilanciata con la responsabilità tra gli Stati membri. Nel dicembre 2022 l’UE e i partner africani hanno lanciato un’iniziativa Team Europe che, oltre a concentrarsi – come già menzionato – sulla rotta del Mediterraneo occidentale, si focalizzava sulla rotta del Mediterraneo centrale, per garantire sforzi congiunti da parte degli Stati membri e dell’UE per affrontare le sfide migratorie. Ciò
    30 https://www.consilium.europa.eu/it/policies/eu-migration-policy/central-mediterranean-route/
    31 https://www.eeas.europa.eu/eubam-libya_en?s=327
    37

include un’iniziativa specifica che mobilita 1,13 miliardi di euro per collaborare con i partner africani32.
In questo contesto, la rotta del Mediterraneo centrale, con la Tunisia che ha preso il posto della Libia quale principale snodo e punto di imbarco verso l’Italia, è una preoccupazione che sta spingendo l’UE a cercare di riformare le procedure di frontiera e la gestione dell’asilo.
Dopo settimane di negoziati, il 16 luglio 2023, l’UE, con la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, la presidente del consiglio italiano Giorgia Meloni e il premier dimissionario olandese Mark Rutte, ha firmato un memorandum d’intesa generale con il presidente della Tunisia, Kais Saied che prevede il sostegno finanziario europeo in cambio dell’attuazione di riforme economiche e del controllo delle frontiere33. La Commissione europea sta negoziando i contenuti di dettaglio del memorandum.
Parallelamente, dopo il consiglio dei ministri dell’interno europei, che si è svolto a Lussemburgo l’8 giugno 2023, e dopo il più recente incontro informale del 5-6 ottobre a Granada in Spagna34, i 27 Paesi dell’UE hanno riscritto la proposta fatta dalla Commissione europea e il testo passerà alla discussione del Parlamento europeo, che dovrà approvarlo. Le nuove regole non intaccano il principio del Paese di primo ingresso che attribuisce ai Paesi destinatari delle rotte del Mediterraneo (anzitutto Italia, Spagna e Grecia e, in misura minore, Malta) la responsabilità di gestire l’accoglienza e, quindi, maggiori oneri, prevedendo invece sia un’accelerazione della “procedura di frontiera” sommaria per esaminare le domande di asilo, sia la possibilità di effettuare respingimenti e rimpatri anche verso i Paesi nord-africani di transito (e non solo verso quello di origine) se ritenuti “sicuri”, sia la partecipazione di tutti gli Stati membri alla redistribuzione dei migranti con una quota minima di 30.000 ricollocamenti all’anno o, in alternativa, il pagamento di un contributo di 20.000 euro a migrante al fondo comune per la gestione delle frontiere esterne.
La Convenzione di Dublino, firmata il 15 giugno 1990 e in vigore dal 1o settembre 1997, aggiornata con il regolamento di Dublino II35 adottato nel 2003 e poi con il regolamento Dublino III36 adottato nel 2013, con il principio cardine del Paese di primo ingresso su cui gravano i maggiori oneri, non è stato finora superato. Polonia e Ungheria continuano a opporsi ai ricollocamenti; vari Paesi come Malta, Lituania, Slovacchia e Bulgaria non sono molto favorevoli. La commissaria europea svedese per gli Affari interni, Ylva Johansson, ricorda che nel 2023 l’UE ha ricevuto più di 250.000 arrivi irregolari, soprattutto in Italia, a Lampedusa. Ma, sempre nel 2023, i ministri dell’Interno dell’UE hanno concordato di
32 https://ec.europa.eu/commission/presscorner/detail/en/IP_22_7540
33 https://www.europarl.europa.eu/RegData/etudes/ATAG/2023/751467/EPRS_ATA(2023)751467_EN.pdf
34 https://spanish-presidency.consilium.europa.eu/en/news/highlights-agenda-european-political-community-euco- informal-meeting-heads-state-government- granada/#:~:text=On%205%20and%206%20October%2C%20Granada%20will%20host,Government%2C%20which% 20will%20address%20the%20continent%27s%20strategic%20priorities.
35 Regolamento 2003/343/CE: https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/ALL/?uri=CELEX%3A32003R0343
36 Regolamento 2013/604/CE: https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/PDF/?uri=CELEX:32013R0604
38

estendere fino al marzo 2025 la protezione temporanea per circa 4 milioni di rifugiati ucraini che risiedono in Europa. Inoltre, l’UE ha accumulato un arretrato di 600.000 domande di asilo in attesa di risposta e, complessivamente, ha bisogno e riceve annualmente un flusso di immigrazione molto maggiore dei flussi irregolari dal Mediterraneo. Né, bisognerebbe dimenticare che, in base ai dati del Rapporto 2023 dell’UNHCR sulle migrazioni forzate, nel 2023 i Paesi in via di sviluppo (PVS) ospitano il 76% dei rifugiati e altre persone bisognose di protezione internazionale; Turchia e Iran ospitano ben 7 milioni di rifugiati; la maggior parte dei richiedenti asilo proviene – oltre che dall’Ucraina – da tre Paesi (Palestina, Siria, Afghanistan), la cui crisi è di lungo periodo e chiama in correità i principali attori internazionali.
Tornando ai dati del 2023, FRONTEX non è in grado di documentare la nazionalità della maggioranza dei migranti che utilizzano la rotta centrale del Mediterraneo, salvo identificare una piccola quota (1.520 migranti) come tunisini e un numero ancor minore (1.197) come guineani.
Graf. 6 – Principali nazionalità di arrivo per la rotta centrale (2023)
Non conosciuta Altri Paesi Tunisia Guinea Costa d’Avorio
Fonte: FRONTEX, 2023.
Il Ministero italiano dell’Interno, invece, offre un quadro molto più esaustivo delle nazionalità dei migranti sbarcati irregolarmente in Italia.
39

Graf. 7 – Nazionalità dichiarate al momento dello sbarco in Italia nel 2023
altre* Camerun Mali Siria Pakistan Burkina Faso Bangladesh Egitto Tunisia Costa d’Avorio Guinea
0
42.903
5.000
10.000
15.292 16.823
15.000 20.000
25.000
30.000
35.000
40.000
45.000
4.751 5.156
5.689 6.350
7.784 7.967
8.698
14.528

  • aggiornamento al 6 ottobre 2023
    Fonte: elaborazione dati Ministero dell’interno, ottobre 2023
    Guinea (16.823 migranti) e Costa d’Avorio (15.292) precedono la Tunisia come principali nazionalità dei 135.941 migranti sbarcati in Italia, di cui 42.903 casi ricomprendono immigrati per i quali sono ancora in corso le attività di identificazione.
    Le prime due nazionalità, la Guinea e la Costa d’Avorio, non rappresentano una novità. Se si controllano le nazionalità indicate, sempre dal Ministero dell’Interno, con riferimento agli sbarchi nel 2017, la prima nazionalità era la Nigeria (con 18.153 sbarchi) seguita da Guinea (9.693) e Costa d’Avorio (9.504). Nel caso dei migranti provenienti dalla Guinea, la rotta principale prevede il passaggio via terra per il Mali, successivamente l’Algeria e, infine, la Tunisia, da cui imbarcarsi verso l’isola di Lampedusa.
    Infine, come nel caso della Spagna con riferimento alla rotta occidentale del Mediterraneo, si possono confrontare i dati relativi alle prime nazionalità del flusso di immigrati. Diversamente dalla Spagna e da molti altri Stati membri dell’UE, l’Italia ha afflussi di immigrati contenuti, sostanzialmente comparabili all’afflusso irregolare degli sbarchi.
    Tab. 2 – Afflusso totale di popolazione straniera in Italia per nazionalità, confronto tra 2020, 2016 e periodo cumulato 2016-2020
    2020
    Totale 191.766
    Romania 28.664 Albania 17.193 Marocco 12.480 Pakistan 9.694
    Totale
    Romania Pakistan
    2016
    262.929
    45.238 14.735
    2016-2020
    Totale 1.305.837
    Romania 196.618 Albania 85.766 Marocco 80.043 Brasile 73.546
    Nigeria 14.729
    Marocco 14.651
    40

Brasile
Bangladesh India
Ucraina Cina Senegal Regno Unito Tunisia
Perù
Sri Lanka Argentina Russia Francia Venezuela Bulgaria
8.727 Albania 12.966
7.779 Cina 12.366 7.260 Bangladesh 10.733 Brasile 10.495
Nigeria
Pakistan Bangladesh Cina
India
Ucraina
Sri Lanka Regno Unito Russia Guinea
68.789
62.583 58.218 49.358 47.999
36.040
17.389 13.666 13.266 13.119
Nigeria 7.204
Egitto 5.711
India 5.154 Ucraina
4.926
4.551
4.468
3.292
2.687
2.265 Sri Lanka 2.231
2.069
1.950 Afghanistan 1.889 Filippine 1.887 Russia
9.980 8.740
3.968
3.191 3.181 2.877
Senegal 38.543
Egitto 36.418
Senegal 8.524
Egitto 6.631
Gambia 6.624
Mali 5.211
Ghana
4.094
Gambia 24.763
Mali 20.559
Tunisia
19.100
Ghana
18.970
Costa d’Avorio 17.539
Tunisia 3.671
Costa d’Avorio 3.536
Fonte: OECD Stat, International Migration Database, 2023.
Tra il 2016 e il 2020 il numero di nazionalità africane ai primi posti è diminuito e si concentra nei tre Paesi nord-africani tradizionalmente presenti in Italia (Marocco, Egitto e Tunisia), Senegal e Nigeria. Complessivamente, nel 2020, prendendo in considerazione le prime nazionalità indicate in tabella, si è registrato un afflusso di poco più di 33.000 africani.
iii. La Grecia e la rotta del Mediterraneo orientale
La crisi migratoria nell’UE nel 2015 fu un fenomeno eccezionale per i numeri (oltre un milione di arrivi, quintuplicato rispetto all’anno precedente e quasi il doppio del precedente massimo storico di circa 700.000 persone, stabilito nel 1992 dopo la caduta della cortina di ferro e il crollo dell’Unione Sovietica37) che ebbe molteplici cause e conseguenze38. In ogni caso, si trattò di un’emergenza che interessò anzitutto la cosiddetta rotta del Mediterraneo orientale o del Mar Egeo, che identifica gli arrivi irregolari soprattutto in Grecia (in misura molto minore, anche Cipro e Bulgaria), spesso transitando per la Turchia. Molti migranti irregolari che raggiunsero l’UE attraverso questa rotta, intrapresero poi la rotta dei Balcani occidentali, spostandosi dallo Stato membro dell’UE in cui erano arrivati per la prima volta in un altro paese dell’UE, il che si traduceva in un elevato numero di rilevamenti di migranti irregolari e domande di asilo in Europa.
L’escalation della guerra civile siriana e l’ascesa del gruppo dello Stato Islamico (IS), che costrinse milioni di persone a fuggire dalle proprie case e a cercare sicurezza nei Paesi vicini o al di fuori di essi fu un fattore scatenante, come evidenziarono poi i dati relativi alle nazionalità degli immigrati approdati in Europa nel 2015, con oltre 350.000 siriani, il
37 https://www.pewresearch.org/global/2016/08/02/number-of-refugees-to-europe-surges-to-record-1-3-million-in-2015/ 38 https://www.unhcr.org/news/stories/2015-year-europes-refugee-crisis
41

doppio degli afgani e il triplo degli iracheni, le due nazionalità che seguono per numerosità39. La limitata capacità e volontà di Paesi come Libano, Giordania, Turchia ed Egitto di ospitare e integrare un gran numero di rifugiati siriani, spinse molti di loro a cercare destinazioni alternative in Europa. La vicinanza geografica e la disponibilità di trafficanti e imbarcazioni che facilitavano la traversata dalla Turchia alle isole greche, più breve ed economica rispetto alla rotta del Mediterraneo centrale dalla Libia all’Italia (la Turchia è il Paese che confina con la Grecia da un lato e la Siria e l’Iraq da un altro), furono fattori chiave che determinarono il ricorso alla rotta orientale del Mediterraneo. L’annuncio, poi, dell’allora cancelliera tedesca Angela Merkel, nell’agosto 2015, che la Germania avrebbe accolto i rifugiati e sospeso il regolamento di Dublino, che imponeva ai richiedenti asilo di registrarsi nel primo Paese dell’UE in cui entravano, creò un fattore di attrazione per molti rifugiati che volevano raggiungere la Germania o altri Paesi dell’Europa occidentale. La mancanza di una risposta comune europea e di solidarietà per condividere la responsabilità di ospitare e reinsediare i rifugiati, portò alla chiusura dei confini, alle recinzioni e alle restrizioni da parte di alcuni Paesi lungo la rotta balcanica, come Ungheria, Croazia, Slovenia e Macedonia. Ciò creò colli di bottiglia e crisi umanitarie in Grecia e in altri Paesi di transito.
Da quel 2015, a seguito della cooperazione tra l’UE e la Turchia siglata nel 201640, che si è tradotta in 6 miliardi di euro di finanziamenti, ammontare mai più attribuito ad alcun partner in relazione alla cosiddetta esternalizzazione del controllo delle frontiere, attraverso una specifica Facility – con una prima tranche impegnata a fine novembre 2015 per finanziare progetti da realizzare entro di la metà del 2021 a sostegno dei rifugiati siriani e garantire le esigenze delle comunità ospitanti in Turchia e una seconda tranche di altri 3 miliardi di euro per progetti da realizzare entro la metà del 2025 –, il numero di arrivi irregolari attraverso questa rotta è diminuito notevolmente. Nel 2020 gli arrivi attraverso la rotta del Mediterraneo orientale furono inferiori di quasi il 98% rispetto al 2015 e, negli ultimi tre anni, il numero degli arrivi è aumentato, ma a livelli sempre molto inferiori al picco del 2015 (nel 2022 il totale di 43.906 arrivi era pari al 5% degli arrivi nel 2015).
Graf. 8 – Grecia: sbarchi annuali 2015- 2023*
1.000.000 900.000 800.000 700.000 600.000 500.000 400.000 300.000 200.000 100.000
0
885.386
2015
182.277
2016
42.319
2017
56.561 83.333
2018 2019
19.681 20.567
2020 2021
43.906
2022
24.094
2023*

  • aggiornamento a fine agosto 2023
    39 https://www.bbc.com/news/world-europe-34131911
    40 https://www.consilium.europa.eu/en/policies/eu-migration-policy/eastern-mediterranean- route/#:~:text=Refugees%20in%20T%C3%BCrkiye%20receive%20aid%20from%20the%20EU,in%20T%C3%BCrkiy e%20are%20addressed%20in%20a%20comprehensive%20manner.
    42

Fonte: FRONTEX, 2023.
Per quanto riguarda le principali nazionalità nel 2023, i dati FRONTEX evidenziano che la rotta è in gran parte utilizzata da persone provenienti dal Medio Oriente e dall’Asia meridionale in fuga da conflitti e instabilità che perdurano negli anni, in particolare da Siria, Afghanistan, Iraq, Palestina e Somalia.
Graf. 8 – Principali nazionalità di arrivo per la rotta orientale (2023)
Siria Altri Paesi Palestina Afghanistan Somalia Iraq
Fonte: FRONTEX, 2023.
Infine, per quanto riguarda il flusso di immigrazione regolare, dal 2017 il numero totale è stabilmente superiore rispetto a quello degli arrivi irregolari; nel 2020, per esempio, a fronte di 19.681 arrivi irregolari, il dataset OECD indica un afflusso di immigrazione che è superiore di oltre tre volte (63.357), anche se il dataset non fornisce informazioni di dettaglio sulle diverse nazionalità che lo compongono.
A mo’ di informazione complementare, numeri molto più alti di afflussi migratori totali sono quelli registrati negli altri tre Paesi presi in considerazione come casi per un raffronto: Francia, Germania e Turchia.
Tab. 3 – Afflusso totale di popolazione straniera in Francia per nazionalità, confronto tra 2020, 2016 e periodo cumulato 2016-2020
2020
Totale 200.495
Italia 11.526
Tunisia 11.410
Spagna 8.243 Romania 6.771 Costa d’Avorio 6.602 Portogallo 5.998
Totale
Italia Portogallo Regno Unito Tunisia Spagna Romania
2016
245.663 Totale
13.883 Italia
12.377 Tunisia 11.567 Spagna 11.283 Regno Unito 10.658 Portogallo
8.547 Romania
2016-2020
1.202.069
67.999
63.743
52.979 42.836 42.380 40.421
Algeria
17.877
Marocco
17.465
Algeria
21.824
Marocco
18.811
Algeria
105.895
Marocco
98.754
43

Guinea
Belgio Afghanistan Germania
Turchia
Cina Camerun Regno Unito
5.750 Belgio 5.322 Germania 5.244 Cina 4.480 Turchia
6.701 Belgio 6.190 Germania 5.309
4.981
4.541 Turchia 4.438 Cina
4.075 Afghanistan
32.725 28.119
23.767 23.620 22.728 22.258
Costa d’Avorio
26.812
Comore 24.046
Comore 4.409
Mali 4.278
Senegal 3.934
3.909 3.525 3.357 3.282
Stati Uniti
Rep. Dem. Congo
Russia
Siria
Stati Uniti
Costa d’Avorio 3.888
Comore 3.869
Senegal 3.869
Mali
3.803
Senegal 21.250
Rep. Dem. Congo 20.031
Mali
19.850
Guinea
19.055
3.525
Rep. Dem. Congo
3.082
Fonte: OECD Stat, International Migration Database, 2023.
Nel caso della Francia, l’afflusso complessivo di immigrati negli anni considerati è simile a quello in Italia, ma sono presenti molte più nazionalità africane. Infatti, tra le prime comunità presenti, si contano circa 72.000 immigrati africani nel 2020, a fronte dei circa 33.000 in Italia.
Tab. 4 – Afflusso totale di popolazione straniera in Germania per nazionalità, confronto tra 2020, 2016 e periodo cumulato 2016-2020
2020
Totale 994.819
Romania 198.430 Polonia 101.887 Bulgaria 76.196 Italia 36.558 Croazia 33.108 Siria 31.145 Turchia 30.438 Ungheria 28.365 India 20.510 Serbia e Montenegro 20.483 Grecia 18.330 Bosnia-Erzegovina 16.378 Spagna 16.347 Albania 14.478 Afghanistan 14.101 Macedonia del Nord 12.692 Iraq 12.186 Ucraina 11.822 Russia 11.558 Francia 11.552
2016
1.719.075
Romania
Siria 179.435 Polonia 160.677
2016-2020
Totale 6.827.435
Romania 1.148.349
Totale
222.298
Bulgaria Afghanistan Iraq
Croazia Italia Ungheria Turchia India Grecia
Cina
Russia
Iran
Serbia e Montenegro Bosnia ed Erzegovina Spagna
Stati Uniti Francia
82.956 75.763 67.978 62.109 52.564 51.592 28.639 27.683 27.120 26.632 23.085 23.009 22.896 22.393 21.922 20.736 15.518
Polonia
Bulgaria
Siria
Croazia
Italia
Ungheria
Turchia
India
Iraq
Afghanistan
Grecia
Serbia e Montenegro Cina
684.468 413.885 379.995 259.923 244.349 208.696 177.068 150.509 146.248 127.887 120.739 119.652 116.085 110.357 94.144 92.618
Bosnia ed Erzegovina
Spagna
Stati Uniti
Russia 89.717 Macedonia del Nord 84.125 Iran 81.276
Fonte: OECD Stat, International Migration Database, 2023.
44

Nel caso della Germania, il numero complessivo negli anni considerati è molto più alto di quello registrato negli stessi anni in Spagna, Italia e, a maggior ragione, Grecia, come anche della Francia. Tuttavia, nessuna nazionalità dell’Africa sub-sahariana è presente nella lista dei principali Paesi di origine degli afflussi migratori, tra i quali prevalgono i Paesi dell’Europa dell’est.
Tab. 5- Afflusso totale di popolazione straniera in Turchia per nazionalità, confronto tra 2020, 2016 e periodo cumulato 2016-2020
2019
Totale 578.488
2016
Totale 273.869
Iraq 70.865 Afghanistan 27.850 Siria 25.689 Iran 15.539 Azerbaigian 15.284
2016-2020
Totale 1.683.808
Iraq 362.063 Afghanistan 157.802 Turkmenistan 143.629 Siria 136.065 Iran 107.606 Azerbaigian 85.957
Iraq Turkmenistan Afghanistan Siria
Iran Azerbaigian Uzbekistan Russia
Giordania
Somalia
Palestina Kazakistan Kirghizistan Germania Georgia Marocco Cina Yemen Ucraina Algeria
83.829 80.003 47.228 43.190 42.351 26.563 25.064 17.311
11.268
10.290
9.978 9.950 9.950 9.417 8.128 8.081 7.328 6.907 6.641 5.976
Uzbekistan Germania Turkmenistan Cina
Georgia Ucraina Russia Kirghizistan
Kazakistan Moldova Palestina Yemen
India
Regno Unito Marocco
8.975 8.606 8.394 8.281 6.630 6.531 6.425 6.012
3.644 2.388 2.026 1.839 1.769 1.764 1.763
Uzbekistan Russia Egitto Germania Kirghizistan Libia Georgia Cina Ucraina Palestina Kazakistan Giordania Yemen
67.141 44.829 38.693 35.356 34.075 29.812 28.691 25.903 25.380 25.372 25.307 23.905 21.054
Egitto 12.502
Libia 12.082
Libia 4.344
Egitto
4.094
Somalia 16.977
Marocco 16.798
Algeria 11.270
Fonte: OECD Stat, International Migration Database, 2023.
Nel caso della Turchia, in modo simile alla Grecia, ma con numeri molto più alti, ci sono molte più nazionalità asiatiche che africane tra quelle più numerose. In ogni caso, tra le prime comunità presenti, nel 2019 si registravano circa 49.000 africani, un dato molto superiore a quello italiano
iv. Le tre rotte a confronto
Dopo aver presentato separatamente l’andamento recente degli afflussi migratori irregolari arrivati in Europa percorrendo le tre rotte del Mediterraneo, si può schematicamente ricapitolare la situazione, mettendo a confronto il dato più recente delle stesse rotte.
45

Attraverso la rappresentazione grafica, si coglie immediatamente come, nel 2023, la rotta del Mediterraneo centrale sia di gran lunga la principale per quanto riguarda gli sbarchi tra gennaio e settembre del 2023.
Fig. 5 – Mappa degli arrivi in Europa, gennaio-settembre 2023
Fonte: UNHCR (22 settembre 2023).
La mappa mostra, per completezza, anche il dato riferito a Malta e Cipro, che hanno registrato un numero di sbarchi molto più contenuto e, soprattutto, i due fenomeni, di altro ordine di grandezza, rappresentati dai rifugiati siriani con status di protezione temporanea ospitati in Turchia e dai milioni di rifugiati ucraini ospitati in Europa.
Nel 2023 sono stati registrati 181.815 arrivi irregolari. La ripartizione per rotta migratoria è la seguente:

  • Rotta occidentale (Spagna): 25.715 arrivi
  • Rotta centrale (Italia): 128.608 arrivi
  • Rotta orientale (Grecia): 25.516 arrivi
    46

Si tratta di una fotografia cui, per completezza, occorre aggiungere il confronto in termini di dinamica storica, tra il 2015 e il 2023, che permette di cogliere il diverso peso relativo, nel tempo, delle tre rotte e il ridimensionamento del numero complessivo di sbarchi.
Graf. 9 – Arrivi irregolari annuali (2015-2023*), confronto tra le tre rotte principali. 1.200.000 1.000.000 800.000 600.000 400.000 200.000 0 7.004 153.842 885.386 9.990 181.436 182.277 119.310 42.319 2016 2017 Rotta orientale 23.063 57.034 23.967 23.370 11.471 56.561 83.333 2018 2019 Rotta centrale 41.861 41.945 34.154 47.959 19.681 20.567 2020 2021 Rotta occidentale 31.219 72.721 43.906 2022 21.780 135.941 24.094 2023
2015

  • La rotta occidentale si riferisce alle rotte del Mediterraneo occidentale e dell’Africa occidentale ** Dati fino ad agosto 2023
    Fonte: FRONTEX, 2023.
    Nel 2015, come già ricordato, la rotta orientale (che interessa Turchia e Grecia) fu quella più nettamente utilizzata; il 2018 e il 2020 sono stati gli unici anni in cui la rotta occidentale (che interessa la Spagna) risultò la più utilizzata, mentre nel 2017 e negli ultimi tre anni la rotta centrale (che interessa l’Italia) è quella prevalente.
    Gli arrivi irregolari nell’UE sono diminuiti significativamente dal picco della crisi migratoria nel 2015 e, raggiunto il minimo nel 2020, negli ultimi tre anni sono in ripresa, con un’accelerazione in corso, seppure a livelli molto inferiori rispetto al 2015.
    Prendendo, poi, come riferimento un arco temporale ancora più esteso, è possibile collocare sia la situazione attuale che il picco del 2015 in un quadro più ampio.
    47

Graf. 10 – Arrivi irregolari mensili, migliaia (2008 – agosto 2023), confronto tra le tre rotte principali.
800
700
600
500
400
300
200
100
0 2008 2009 2010 2011 2012 2013 2014 2015 2016 2017 2018 2019 2020 2021 2022 2023 Rotta occidentale Rotta centrale Rotta orientale
Fonte: FRONTEX, 2023.
Il picco del 2015 appare evidentemente un’eccezione nell’arco degli ultimi 16 anni, mentre i flussi di migranti irregolari che attraversano il Mediterraneo configurano un fenomeno permanente a bassa intensità, che riflette problemi strutturali nei Paesi di partenza mai risolti.
Almeno dalla metà degli anni Novanta, migliaia di persone ogni anno attraversano il Mediterraneo in barca dalle coste settentrionali dell’Africa e della Turchia per chiedere asilo o per migrare verso l’Europa senza la documentazione richiesta dai Paesi di destinazione.
In termini di nazionalità, combinando i dati delle diverse rotte relativi agli ultimi tre anni, i migranti irregolari sbarcati sulle coste europee del Mediterraneo sarebbero principalmente nord-africani, considerando però le informazioni parziali pubblicate da FRONTEX – come illustra chiaramente il caso italiano (per il quale FRONTEX pubblica informazioni molto meno dettagliate di quelle fornite dal Ministero dell’Interno).
48

Graf. 11 – Principali nazionalità degli arrivi via mare e via terra nel Mediterraneo da gennaio 2021 a settembre 2023
45.000 40.000 35.000 30.000 25.000 20.000 15.000 10.000
5.000 0
41.248
38.291
30.403
22.016
20.383
19.951
19.426
15.314
11.803
8.532
Fonte: dati UNHCR (22 settembre 2023).
Infine, i dati raccolti da UNHCR consentono di cogliere anche un aspetto importante relativo alla ripartizione demografica degli arrivi da gennaio 2022 a settembre 2023.
Graf. 12 – Ripartizione demografica (%) degli arrivi nel Mediterraneo da gennaio 2022 a settembre 2023
71,5
Minori Donne Uomini
18,6
10
Fonte: dati UNHCR (22 settembre 2023).
49

I dati includono gli arrivi via mare in Italia, Cipro e Malta e gli arrivi via mare e via terra in Grecia e Spagna (incluse le Isole Canarie), e si riferiscono al 31 dicembre di ogni anno per tutti i Paesi (salvo il 2023, aggiornato con dati fino al 17 settembre 2023). Si evidenzia il dato del numero elevato di minori (circa uno su cinque migranti arrivati in Europa), una cui componente crescente è quella dei minori non accompagnati. La violenza persistente e i conflitti prolungati nei Paesi di origine, come Afghanistan, Siria, Iraq, Somalia, Eritrea e Sudan41; le persecuzioni su base etnica, religiosa, di affiliazione politica; il traffico e la tratta di esseri umani, compresa la vendita da parte di genitori o parenti, o lo sfruttamento da parte di reti criminali; la separazione accidentale dai genitori nel corso del viaggio, a causa di controlli di frontiera, detenzione, deportazione o morte; la ricerca di un’istruzione migliore e di prospettive future in Europa, talvolta seguendo le orme di familiari o amici già emigrati; la prospettiva di una maggiore probabilità di accoglimento della richiesta di asilo e tutela dei diritti una volta arrivati in Europa, rispetto a quella che hanno gli adulti sono tutti fattori che contribuiscono a spiegare il fenomeno. Più di altri, i minori non accompagnati devono affrontare molte sfide e rischi durante e dopo il processo di migrazione, come abusi, violenze, discriminazioni, detenzione e mancanza di accesso ai diritti e ai servizi di base. Si tratta di una ragione in più che rende importante monitorare anche l’aspetto più tragico e straziante relativo alle rotte migratorie del Mar Mediterraneo, quello dei morti e dispersi lungo la rotta.
2.4 – Le tragedie del Mar Mediterraneo. Morti e dispersi
Almeno dal 2014, anno in cui è iniziato il progetto Missing Migrants Project (MMP), il Mar Mediterraneo è diventato il luogo di un crescente numero di morti tra i migranti. Anche i viaggi migratori che precedono queste traversate del Mediterraneo sono altamente rischiosi, in quanto spesso comportano l’attraversamento di territori remoti come il deserto del Sahara e la permanenza, almeno temporanea, in Paesi come la Libia, dove le condizioni dei migranti sono spesso pericolose.
41 https://www.europarl.europa.eu/thinktank/infographics/childrenmigration/index.html?lang=en 50

Graf. 13 – Stima di migranti morti e dispersi ogni anno, 2014-2023
6.000
5.000
4.000
3.000 2.000 1.000
0
4.055 3.289
5.136
3.139
1.449
2.337
2.048 2.411
2020 2021 2022
2.340
2023*
1.885
2014 2015
2016 2017 2018 2019
Fonte: dati IOM (22 settembre 2023).
Secondo i dati dell’MMP, tra il 2014 e il 17 settembre 2023, sono 28.089 i migranti morti o dispersi di cui non si ha notizia. Il fenomeno drammatico in sé ha, se possibile, una sua componente ancor più angosciante, rappresentata dal numero di minori morti e dispersi.
Graf. 14 – Stima del numero di minori morti e dispersi ogni anno, 2014-2023
300
250
200
150
100
50 0
279
179
118
101
2019 2020 2021 2022 2023*
115
82 81 83
27
78
2014 2015
2016 2017 2018
Fonte: dati IOM (22 settembre 2023).
51

Confrontando le rotte, il Mediterraneo centrale è la rotta migratoria più letale non solo delle tre che attraversano il Mar Mediterraneo ma a livello mondiale, con 22.327 morti e dispersi registrati dall’MMP dal 2014. Ciò è dovuto sia alla lunghezza del viaggio oltreoceano, che può durare giorni, sia ai modelli di traffico e imbarcazioni sempre più pericolosi, alle lacune nella capacità di ricerca e salvataggio e alle restrizioni al lavoro di salvataggio. I migranti spesso attraversano il Mediterraneo centrale a bordo di gommoni inadeguati e sovraccarichi. Inoltre, possono essere lanciate più imbarcazioni contemporaneamente, il che complica notevolmente gli sforzi di ricerca e salvataggio. Il Mediterraneo centrale è anche la rotta in cui si è verificato il maggior numero di sparizioni, anche se è probabile che molte altre morti non siano state registrate. Oltre 2.000 migranti sono morti o dispersi su questa rotta dall’inizio del 2023. Esistono inoltre prove evidenti che molti naufragi sono “invisibili” – imbarcazioni in difficoltà che scompaiono senza superstiti – e quindi non vengono registrati. Ad esempio, l’MMP ha registrato centinaia di resti umani rinvenuti sulle coste libiche.
Graf. 15 – Distribuzione della stima di morti e dispersi annuali, migranti tra le tre rotte del Mediterraneo, 2014-2023
Mediterraneo orientale
Mediterraneo occidentale
Mediterraneo centrale
0
2.303
3.459
5.000 10.000 15.000 20.000 25.000
22.327
Fonte: dati IOM (22 settembre 2023).
Dal 2014 sono stati registrati 3.459 decessi e sparizioni di migranti nel Mediterraneo occidentale, la maggior parte dei quali riguarda naufragi sulla rotta d’oltremare verso la terraferma spagnola. Tuttavia, anche le traversate via terra verso le enclave spagnole di Melilla e Ceuta sono pericolose, con diverse decine di morti registrate dall’MMP attribuibili a violenze, malattie e mancanza di accesso all’assistenza sanitaria. In diversi casi, si sono verificati decessi accidentali e violenti presso le recinzioni di confine di queste enclave spagnole, legati a tentativi di attraversamento.
Dal 2014 sono stati, invece, registrati 2.303 decessi e sparizioni nel Mediterraneo orientale,
di cui quasi la metà (803) solo nel 2015. Rispetto alle altre rotte del Mediterraneo, viene 52

recuperata e portata a terra una percentuale maggiore di resti di persone, con quasi 1.200 documentati dal 2014. Ciò significa che le identità e i profili di coloro che muoiono sono più noti: dal 2014 sulla rotta del Mediterraneo orientale sono stati registrati i decessi di quasi 500 bambini, molti dei quali avevano meno di 5 anni. Su questa rotta sono state documentate anche le morti di 266 donne e 273 uomini, molti dei quali provenienti da Siria, Iraq e Afghanistan.
La stima complessiva del numero di tentativi di attraversamento del Mar Mediterraneo, tra il 2016 e il 2023, distinguendo tra morti e dispersi, intercettazioni in mare e sbarchi in Europa, restituisce la pericolosità delle rotte e i rischi che si continuano a correre, soprattutto percorrendo la rotta centrale.
Graf. 16 – Distribuzione della stima del totale di tentativi di attraversamento del Mediterraneo, dal 2016 a giugno 2023
Morti e scomparsi
Intercettazioni in mare
Arrivi irregolari in Europa
0
20.584
496.165
200.000 400.000 600.000 800.000 1.000.000 1.200.000 1.400.000
1.243.454
Fonte: dati IOM (22 settembre 2023).
Nonostante siano rotte molto pericolose, considerando che quasi uno su tre degli attraversamenti non arriva a destinazione, la rotta del Mediterraneo centrale continua a essere oggetto di numerosi tentativi di attraversamento.
53

2.5 – Breve annotazione a margine
Poiché nel momento in cui questo testo viene licenziato si ode il crescente e scoraggiante frastuono delle armi tra Hamas e Israele, si segnala che gli unici picchi migratori di un ordine di grandezza molto superiore ai livelli standard risultano imputabili a gravi crisi che determinano improvvisi flussi di migrazioni forzate: l’impennata di richiedenti asilo dopo la caduta del muro di Berlino (1990-1992), la crisi siriana (2015) e la guerra in Ucraina oggi.
La guerra innescata da Hamas con incursioni e assassinii di civili e militari in Israele e le immediate ritorsioni delle forze armate israeliane sui territori occupati della Palestina prefigurano, nel contesto di una insostenibile occupazione di terre e forte limitazione dei gradi di libertà di milioni di palestinesi che si protrae da decenni, il rischio di una ennesima tragedia. È bene ricordare che, secondo l’Agenzia delle Nazioni Unite per il Soccorso e l’Occupazione dei Rifugiati Palestinesi nel Vicino Oriente (United Nations Relief and Works Agency for Palestine Refugees in the Near East, UNRWA), ci sono 5,9 milioni di rifugiati palestinesi registrati nel mondo, e circa 1,5 milioni di loro vivono in 58 campi profughi riconosciuti in Giordania, Libano, Siria e Palestina (Striscia di Gaza e Cisgiordania).
Tuttavia, non tutti i rifugiati palestinesi sono registrati presso l’UNRWA e molti possono vivere al di fuori di questi campi o in altri Paesi. Ad esempio, in Giordania ci sono circa 10 campi profughi ufficiali e tre non ufficiali, dove sono registrati più di 2 milioni di rifugiati palestinesi. In Libano, ci sono circa 450.000 rifugiati palestinesi registrati, ma solo circa la metà di loro vive nei 12 campi ufficiali. In Siria, i rifugiati palestinesi registrati sono circa 560.000, ma molti di loro sono stati sfollati a causa del conflitto in corso. Nella Striscia di Gaza e in Cisgiordania, ci sono rispettivamente circa 1,4 milioni e 800.000 rifugiati palestinesi registrati, che vivono per lo più in 8 e 19 campi ufficiali, più molti altri non registrati.
54

Fig. 6 – Il numero di rifugiati palestinesi nei campi profughi nella Striscia di Gaza, nel resto della Palestina e nel mondo
Fonte: elaborazione dati UNRWA, 2023 (più stime Refugee Studies Centre).
È difficile fornire un numero esatto di quanti rifugiati palestinesi siano sparsi nel bacino del Mediterraneo, probabilmente non meno di 3 milioni di rifugiati palestinesi vivono nei Paesi che si affacciano sul Mar Mediterraneo (come già illustrato analizzando lo stock di immigrati presenti nei diversi Paesi nordafricani). Un rischio concreto è che la violenza della guerra all’interno della striscia di Gaza possa obbligare a un esodo forzato attraverso l’Egitto, aggravando l’emergenza rifugiati palestinesi nella regione del Mediterraneo.
55

  1. Osservatorio nazionale: le migrazioni a Cuba
    3.1Gli sviluppi storici
    Cristoforo Colombo raggiunse Cuba nell’ottobre del 1492. Diego Velázquez tentò di stabilire il primo insediamento spagnolo a Baracoa, nell’estremo est di Cuba, nel 1511, ma incontrò la strenua resistenza di una delle prime popolazioni amerindia a popolare i Caraibi e provenienti dal Sud America, il popolo Taíno, guidato da Hatuay, fuggito dalle forze spagnole a Hispaniola. La sconfitta finale di Hatuay aprì la strada alla conquista spagnola di Cuba, inizialmente a partire da Baracoa, che ottenne lo status di città nel 1518. Furono fondati altri insediamenti, tra cui Trinidad, Sancti Spíritus e L’Avana, che si trasformò in un vivace porto fortificato e in una base per ulteriori esplorazioni della regione. A distanza di circa 50 anni dal primo contatto con gli europei, i popoli nativi, Taíno e Ciboney, furono quasi decimati da malattie alle quali non poterono opporre alcuna resistenza. Le piantagioni di tabacco e zucchero si svilupparono nel XVII secolo, coltivate da decine di migliaia di schiavi fatti arrivare dall’Africa occidentale.
    Durante la Guerra dei Sette Anni, tra il 1756 e il 1763, le forze britanniche cercarono di rafforzare la loro posizione nei Caraibi. Nel 1762, guidate da Lord Albemarle, attaccarono L’Avana e cacciarono il governatore di Cuba, Juan de Prado, e i suoi amministratori. Il controllo spagnolo fu ripristinato l’anno successivo con il Trattato di Parigi, quando gli inglesi scambiarono Cuba con la Florida. Le autorità mantennero il regime commerciale più liberale che gli inglesi avevano precedentemente introdotto, consentendo un maggior numero di schiavi e di attrezzature agricole, favorendo un’impennata nella produzione di zucchero. Nel 1805 la produzione annuale raggiunse le 34.000 tonnellate.
    57

La resistenza alla dominazione spagnola crebbe dopo la rimozione dei delegati cubani dalle Cortes spagnole nel 1837, mentre le ripetute offerte degli Stati Uniti di acquistare Cuba venivano rifiutate. La schiavitù fu soppressa a partire dagli anni Cinquanta del XIX secolo, ma non fu abolita fino al 1886.
Nel 1868 scoppiò una ribellione, la Guerra dei dieci anni, guidata dal gen. Máximo Gómez, per ottenere l’indipendenza cubana, che però si concluse con la sconfitta dei ribelli cubani contro gli spagnoli. José Martí y Pérez – oggi celebrato eroe nazionale cubano – creò il Partito Rivoluzionario Cubano (Partido Revolucionario Cubano, PRC) da New York e lanciò un’invasione di Cuba nel 1895 con Gómez e Antonio Maceo. Gli Stati Uniti intervennero nel 1898, strappando il controllo di Cuba alla Spagna con il trattato di Parigi e il generale statunitense Leonard Wood divenne governatore militare di Cuba42. Le elezioni municipali del 1900 respinsero le politiche annessionistiche statunitensi e Cuba raggiunse l’indipendenza nel 1902, eleggendo Estrada Palma – già figura di spicco del PRC – quale primo Presidente che, con una politica filo-statunitense per preservare l’indipendenza e la stabilità di Cuba, firmò nel 1903 il Trattato Cubano-Americano con il quale Cuba concedeva in affitto il territorio della base navale di Guantanamo sulla quale gli Stati Uniti avrebbero avuto pieno diritto di giurisdizione e controllo, ma non la sovranità territoriale.
Su richiesta del presidente Estrada Palma, le forze statunitensi furono installate sull’isola tra il 1906 e il 1909. Nel 1912 e nel 1917 ci furono ulteriori interventi delle forze statunitensi. La presidenza dittatoriale di Gerardo Machado iniziò nel 1925 e terminò con un colpo di Stato nel 1933, la cosiddetta Rivolta dei Sergenti, che portò la figura di spicco di un trentenne, Fulgencio Batista, a essere nominato capo di stato maggiore dell’esercito. Nel 1940 fu inaugurata una costituzione socialmente progressista. Batista fu eletto presidente in occasione delle contestate elezioni del 1940, ma quattro anni più tardi fu cacciato dalla carica. Si candidò per rielezione nel 1952 ma, con scarse possibilità di vittoria, guidò un colpo di Stato incruento prima che si potessero tenere le elezioni, sospendendo la Costituzione e instaurando un regime repressivo e corrotto.
Fidel Castro, imprigionato nel 1953 dopo una rivolta fallita, arrivò dal Messico con 80 sostenitori nel 1956. Castro e Che Guevara guidarono una guerriglia dalle montagne della Sierra Maestra e, nonostante il sostegno finanziario degli Stati Uniti, Batista fuggì dopo che i rivoluzionari presero l’Avana nel gennaio 1959. Gli Stati Uniti riconobbero il nuovo regime, ma le relazioni si deteriorarono presto. Castro, in qualità di primo ministro, lanciò un programma di nazionalizzazione, sequestrando i beni statunitensi e mettendo fuori legge la proprietà terriera straniera. Nell’ottobre del 1960 iniziò l’embargo commerciale degli Stati Uniti e le relazioni diplomatiche furono interrotte nel gennaio 1961. Le strette relazioni tra Cuba e Unione Sovietica non furono tollerate dagli Stati Uniti che appoggiarono la condannata invasione della Baia dei Porci nell’aprile 1961, in cui un’offensiva di un gruppo
42 Dal 1860 al 1899, Cuba fu la prima fonte di emigranti verso gli Stati Uniti nel continente dal Rio Grande alla Terra
del Fuoco, superando anche il Messico.
58

di cubani in esilio fu sconfitta dalle truppe di Castro. Il mese successivo Fidel Castro dichiarò Cuba uno Stato socialista.
Cuba continuò a ricevere aiuti finanziari e consulenza tecnica dall’Unione Sovietica fino alla dissoluzione di quest’ultima all’inizio degli anni ‘90. Il collasso sovietico portò a un crollo del 40% del PIL tra il 1989 e il 1993 e avviò il cosiddetto Periodo speciale di Cuba in tempo di pace (El Período Especial en tiempos de paz), un lungo periodo di crisi economica e severo razionamento. Nel febbraio 2008 Fidel Castro annunciò le sue dimissioni, dopo 50 anni di potere, è fu immediatamente sostituito dal fratello Raúl.
Nell’aprile 2015 furono ripristinati i pieni legami diplomatici con gli Stati Uniti, presieduti da Barak Obama, dopo 60 anni di assenza; tuttavia, nel 2017, la nuova amministrazione statunitense guidata dal presidente Donald Trump impose forti restrizioni commerciali e sui visti e adottò una linea più dura nei confronti di Cuba. Raúl Castro si dimise dalla leadership nell’aprile 2018, dopo aver servito due mandati di presidente, e fu sostituito da Miguel Díaz-Canel, rieletto presidente a marzo del 2023, oltre che essere segretario del Partito comunista di Cuba (PCC).
3.2 La grave crisi economica attuale
Con una popolazione stimata nel 2023 pari a 11,2 milioni di abitanti43, di cui il 19,1% nella capitale, con una densità abitativa di 105 abitanti per km2, su una superficie di poco meno di 110 km2, Cuba vanta da un lato una tradizionale attenzione alle dimensioni dello sviluppo umano, avendo per esempio il numero più alto al mondo di medici pro capite al mondo (8,42 ogni 1,000 abitanti), il servizio sanitario completamente gratuito, come pure la scuola è obbligatoria dai 6 ai 16 anni di età ed è completamente gratuita (come lo è l’università), con un tasso di scolarizzazione altissimo e un indice di analfabetismo tra i più bassi al mondo.
Tab. 1 – Indicatori sociali, 2010, 2015 e 2018/2023
Tasso di crescita della popolazione (% media annua) Popolazione urbana (% della popolazione totale)
Tasso di crescita della popolazione urbana (% media annua) Tasso di fecondità, totale (nati vivi per donna)
Aspettativa di vita alla nascita (femmine/maschi, anni) Distribuzione dell’età della popolazione (0-14/60+ anni, %)
2010 2015 0,1 0,1 76,6 76,9 0,2 0,3 1,7 1,7 80,0/75,5 80,1/75,5 17,7/17,6 16,7/19,3
2018/2023 -0,2 (2022) 77,1 (2019)
1,4 (2022) 80,6/75,8 (2022) 15,7/22,0 (2022)
43 Nel 2021, a Cuba vivevano 11.113.215 persone, 68.380 in meno rispetto all’anno precedente, il calo più netto dal 1980, secondo l’Annuario demografico pubblicato dall’Ufficio nazionale di statistica e informazione. Si veda: https://www.infomed.scu.sld.cu/cuba-en-datos-poblacion-cubana-decrece-y-envejece/
59

Stock di migranti internazionali (migliaia/% della popolazione totale) 7,4/0,1 4,6/~0,0 Rifugiati e altri soggetti di interesse per l’UNHCR (migliaia) 0,4 0,3 Tasso di mortalità infantile (per 1.000 nati vivi) 5,2 4,6 Spesa corrente per la salute (% del PIL) 10,7 12,8 Medici (per 1.000 abitanti) 6,8 7,8 Spesa pubblica per l’istruzione (% del PIL) 12,8

Rapporto iscrizioni lorde, scuole primarie (f/m per 100 abit.) 100,2/102,6 96,5/102,3 Rapporto di iscrizione lorda, scuola secondaria inf. (f/m per 100 abit.) 93,6/95,5 96,9/102,4 Rapporto iscrizioni lorde, scuole secondarie (f/m per 100 abit.) 91,1/88,8 101,2/91,4 Tasso di omicidi intenzionali (per 100.000 persone) 4,5 5,5 Seggi occupati da donne nel Parlamento nazionale (%) 43,2 48,9

  • – Inizio anno.
    Fonte: UNDESA, agosto 2023
    3,0/~0,0 (2020) 0,1 (2022)
    4 (2022)
    12,5 (2020) 8,4 (2018)
    0 (2020) 100,5/102,4 (2021) 89,5/89,3 (2021) 105,1/104,1 (2021) 4,4 (2019) 53,4 (2023)*
    Dall’altro lato, però, la repressione del dissenso e, in generale, delle libertà civili e dei diritti politici, in un contesto controllato capillarmente dal PCC, sono un problema acuito negli ultimi anni da condizioni particolarmente difficili sul piano economico.
    La fragile economia cubana, infatti, ha subito l’effetto combinato sia della pandemia da COVID-1944, che ha colpito drammaticamente le condizioni di vita di una popolazione che gravita molto attorno al settore informale e che dipende dai proventi in valuta estera del turismo, praticamente azzerati, sia dell’inasprimento delle condizioni dell’embargo statunitense.
    Tab. 2 – Indicatori macroeconomici, 2010, 2015 e 2021/2023
    PIL (milioni di dollari, prezzi correnti)
    Tasso di crescita annuale del PIL (%, prezzi costanti)
    PIL pro capite (dollari, prezzi correnti)
    Agricoltura (% del valore aggiunto lordo)
    Manifattura (% del valore aggiunto lordo)
    Servizi (% del valore aggiunto lordo)
    Occupazione nell’agricoltura (% degli occupati)
    Occupazione nella manifattura (% degli occupati)
    Occupazione nei servizi (% degli occupati)
    Tasso di disoccupazione (% della forza lavoro)
    Tasso di partecipazione alla forza lavoro (popolaz. femm./masch., %)
    2010 2015 64.328 87.206 2,4 4,4 5.697,6 7.690,2 3,7 3,9 23,1 22,6 73,2 73,5 18,6 18,6 17,0 17,0 64,3 64,4 2,5 2,4 41,9/68,4 42,4/70,0
    2021/2023 126.694 (2021) 1,3 (2021)
    11.255,3 (2021) 2,0 (2021) 17,8 (2021) 80,2 (2021) 17,7 (2021) 17,1 (2021) 65,2 (2021) n.d.
    n.d.
    44 A. Aja, A. Rodriguez, M. Orbea (2021), “COVID-19, migración externa y desplazamientos territoriales en Cuba, una mirada diferente a la población residente en la capital del país”, Revista Novedades en Población, Vol.16(32), pp. 33-
    69.
    60 Tasso d’inflazione (%)**45
    Indice della produzione agricola (2014-2016=100)
    Commercio internazionale: esportazioni (milioni di dollari, prezzi correnti) Commercio internazionale: importazioni (milioni di dollari, prezzi correnti) Commercio internazionale: saldo netto (milioni di dollari, prezzi correnti)
  • – Stime.
    ** – Media di stime di diverse fonti non UNDESA. Fonte: UNDESA, agosto 2023
    1,3 86 4.914 11.488 -6.574
    5,3 100 3.618 12.638 -9.020
    45
    69 (2021) 1.318 (2022) 5.293 (2022) -3.975 (2022)
    I dati macroeconomici disponibili più allarmanti sono quelli relativi all’inflazione, al crollo del valore aggiunto manifatturiero insieme al calo della produzione agricola, oltre che il tracollo di importazioni ed esportazioni, come si evince confrontando il dato attuale (2021/2023) con il 2015 e il 2010.
    Nel 2020, il dollaro statunitense era salito sul mercato nero cubano a circa 75 pesos, ben oltre il tasso di cambio ufficiale di 24 pesos. Il peso contemporaneamente era crollato nello stesso anno dopo che il governo cubano aveva interrotto il sistema a doppia valuta (con il valore del peso convertibile legato a quello del dollaro statunitense e utilizzato nel settore turistico e il peso cubano destinato all’uso interno).
    Il salario medio di un impiego statale è oggi di circa 22 dollari al mese al tasso di cambio reale e il settore privato è limitato a un gruppo ristretto di attività e mestieri.
    Oltre che i dati economici, anche sul piano degli indicatori ambientali e infrastrutturali sono evidenti i segnali dell’aggravamento della crisi.
    Tab. 3 – Indicatori ambientali e infrastrutturali, 2010, 2015 e 2018/2023
    Persone che utilizzano Internet (per 100 abitanti)
    Spesa per ricerca e sviluppo (% del PIL)
    Specie minacciate (numero)
    Superficie forestale (% della superficie terrestre)
    Stime delle emissioni di CO2 (milioni di tonn./tonn. pro capite) Produzione di energia, primaria (Petajoule)
    Fornitura di energia pro capite (Gigajoule)
    Arrivi di turisti/visitatori alle frontiere nazionali (migliaia) Siti importanti per la biodiversità terrestre protetti (%)
    2010 2015 15,9 37,3 0,6 0,4 304 337 27,5 30,6 27,3/2,4 28,6/2,5 200 212 45 40 2.507 3.506 51,2 54,5
    2020/2023 71,1 (2021) 0,5 (2020) 420 (2022) 31,2 (2020) 24,1/2,1 (2020) 170 (2020) 30 (2020) 356 (2021) 54,5 (2022)
    45 Dal 2000 al 2019, il tasso di inflazione ufficiale in pesos cubani è stato di circa l’1,3%. L’indice ufficiale dei prezzi al consumo (IPC) tende a sottostimare l’inflazione. Negli anni Novanta, lungo periodo di stabilità monetaria, non si trattò di un problema; tuttavia, oggi l’affidabilità delle stime ufficiali del governo pone un problema, anche perché gli attuali dati ufficiali sull’inflazione si basano su un IPC obsoleto del 2010. Si veda: https://horizontecubano.law.columbia.edu/news/inflation-cuba-and-economys-potential-recovery-part-1
    61 Popolaz. che usa servizi igienico-sanitari in modo sicuro (% urbana/rurale) 38,7/54,5 37,9/54,9 37,1/56,0 (2022) Aiuto pubblico allo sviluppo netto ricevuto (% del RNL) 0,23 0,65 0,76 (2018)
  • – Inizio anno.
    Fonte: UNDESA, agosto 2023
    In particolare, i dati sulla produzione e fornitura di energia sono in netto peggioramento. Il dato più chiaramente in controtendenza è, invece, l’incremento significativo del numero di persone che utilizzano Internet. Il dato ha registrato un’accelerazione con l’introduzione dei servizi dati 3G e 4G, rispettivamente nel 2018 e nel 2019, che rispondevano alla necessità di dotare il Paese di possibilità di connessione, ormai essenziali per l’economia del turismo. Nel 2019, Cuba ha anche legalizzato il WiFi privato nelle case e nelle aziende, sebbene sia necessario ottenere un permesso per accedervi. Poi, la pandemia da COVID-19, come nel resto del mondo, ha determinato una ulteriore accelerazione della diffusione di Internet in ragione dell’aumento della domanda di servizi online e di comunicazione durante la pandemia.
    Internet, per quanto ancora a pagamento a Cuba e, per questo, non accessibile a tutti, offre la possibilità di connettersi al mondo. Ancor di più, la connessione a Internet può fornire maggiori informazioni e opportunità ai potenziali migranti, come i requisiti per il visto, le offerte di lavoro o le agenzie di viaggio; facilita sicuramente la comunicazione e le rimesse con parenti e amici all’estero; espone i cubani a stili di vita e culture diverse, che possono aumentare la loro insoddisfazione per la situazione attuale o le loro aspirazioni a una vita migliore. Si tratta di aspetti che acquisiscono rilevanza in un contesto economico particolarmente difficile come l’attuale.
    Cuba sta soffrendo la crisi più grave dall’inizio degli anni ‘90. La crisi non è solo economica, ma multisistemica: ha fatto crollare il sistema finanziario, la distribuzione dell’energia, il sistema sanitario, il sistema dei trasporti, l’approvvigionamento di cibo e beni di prima necessità, ha generato una crescita inflazionistica senza precedenti. L’alto numero di proteste degli ultimi due anni dimostra l’insofferenza della popolazione nei confronti della situazione attuale e delle misure del governo cubano46.
    46 https://www.realinstitutoelcano.org/analisis/cuba-crisis-de-gobernanza-y-futuro-incierto/ 62

Graf. 1 – Proteste cittadine a Cuba, settembre 2020 – ottobre 2022
Fonte: Observatorio Cubano de Conflictos (OCC).
3.3L’alternanza tra emigrazioni continue a bassa intensità e ondate straordinarie
Dal 1959, l’emigrazione cubana sembra essere stata caratterizzata da due elementi perduranti. In primo luogo, la Rivoluzione cubana avrebbe provocato un significativo movimento migratorio verso gli Stati Uniti, principale destinazione dei flussi. In secondo luogo, questo rifletterebbe il connotato politico, cioè il rifiuto del processo di trasformazione sociale strutturato attorno a un sistema politico repressivo controllato dal PCC47. Le narrazioni dei cubani che hanno intrapreso un progetto di emigrazione da Cuba negli ultimi tre anni mostrano come la motivazione economica, legata alle grandi difficoltà dovute alla crisi che il Paese sta attraversando e le conseguenti incertezze sul futuro, abbia portato a un significativo movimento migratorio, che continua a essere indirizzato principalmente verso gli Stati Uniti.
47 S. Lamrani (2021), “Cuban emigration to the United States, Part 1, from 1860 to 1989: A Statistical and comparative Analysis”, International Journal of Cuban Studies, Vol. 13(2), pp. 213-229.
63
Sett 2020 Ott 2020 Nov 2020 Dic 2020 Gen 2021 Feb 2021 Mar 2021 Apr 2021 Mag 2021 Giu 2021 Lug 2021 Ago 2021 Set 2021 Ott 2021 Nov 2021 Dic 2021 Gen 2022 Feb 2022
Mar 2022
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Mag 2022
Giu 2022
Lug 2022
Ago 2022
Set 2022
Ott 2022

In una prospettiva di lungo periodo, l’emigrazione cubana ha avuto un andamento per così dire carsico, che agiva cioè di nascosto e in profondità, in modo permanente ma latente, anche perché nel passato il governo cubano non pubblicava statistiche sulle emigrazioni, limitandosi a fornire dati sulla mobilità interna all’isola. Questo deflusso costante ma ‘a bassa intensità’ di persone, ostacolato dal governo, ha registrato poi alcuni picchi straordinari nella storia degli ultimi decenni, la cui eccezionalità in termini di numeri assoluti e relativi si apprezza considerando la numerosità contenuta della popolazione a Cuba.
L’emigrazione cubana ha una lunga storia e, a titolo di confronto, tra il 1950 e il 1958, Cuba produsse un flusso migratorio maggiore di quello di tutta l’America Centrale. La prima ondata fu stimolata dalla stessa rivoluzione cubana del 1959 e interessò soprattutto individui spinti dalla repressione politica e dall’insoddisfazione per l’ideologia castrista e le condizioni di vita nella Cuba post-rivoluzionaria. Inizialmente, molti di coloro che fuggirono erano sostenitori del rovesciato governo Batista. A loro si aggiunse presto un numero crescente di cubani benestanti le cui proprietà erano state confiscate dal nuovo governo cubano, dirigenti di aziende statunitensi che operavano a Cuba e professionisti affermati, tra cui numerosi medici48. In risposta all’afflusso di immigrati cubani, gli Stati Uniti – principale Paese di destinazione – istituirono il Programma per i rifugiati cubani nel 1960 sotto il presidente Dwight D. Eisenhower; nel novembre 1960, il presidente Eisenhower nominò Tracy S. Voorhees per affrontare la crescente situazione dei rifugiati, istituzionalizzando ulteriormente il sostegno ai rifugiati cubani49. Il programma fu poi ampliato dal presidente John F. Kennedy con il “Migration and Refugee Assistance Act” nel 1962. Questo programma forniva una serie di servizi di supporto, tra cui aiuti finanziari, assistenza sanitaria, prestiti per l’istruzione, assistenza per il reinsediamento e per i minori non accompagnati, per soddisfare i 1.500-2.000 cubani che arrivavano settimanalmente50. In pratica, dal momento della rivoluzione cubana, Washington ha adottato una politica migratoria cosiddetta “a braccia aperte” (Open Arms) nei confronti della popolazione cubana e il Cuban Refugee Program del 1960-1961 fu seguito dal Cuban Adjustment Act del 1966 – tuttora in vigore – che stabilisce che ogni cubano che emigra legalmente o illegalmente negli Stati Uniti dopo il 1° gennaio 1959 ottiene automaticamente lo status di residente permanente dopo un anno e un giorno. Nessun altro Paese al mondo beneficia di una simile legislazione. L’obiettivo era privare il nuovo regime di capitale umano qualificato e screditarlo, incoraggiando la fuga di migliaia di cubani da una “dittatura comunista” a una “democrazia capitalista”, per usare i termini del professor Masud-Piloto51.
48 https://www.migrationpolicy.org/article/cuban-migration-postrevolution-exodus-ebbs-and- flows#:~:text=The%20Cuban%20Revolution%20unleashed%20a,policies
49 https://www.archives.gov/research/immigration/cuban-refugee-program
50 https://www.caeducatorstogether.org/resources/12157/cuban-immigration-after-the-revolution-1959- 1973#:~:text=The%20Cuban%20Refugee%20Program%20was,2%2C000%20Cubans%20arriving%20weekly
51 S. Lamrani (2021), “La emigración cubana hacia los Estados Unidos de 1860 a 2019: un análisis estadístico y comparativo”, Études caribéenne, N. 7, Luglio, pp. 1 – 19.
64

L’ondata migratoria successiva alla rivoluzione cubana del 1959 rappresentò il più grande flusso migratorio della storia di Cuba fino ad allora, che diede vita a una significativa comunità cubano-statunitense, in particolare in località come Miami, in Florida52. Fu una migrazione di massa non solo prodotta dai cambiamenti politici all’interno di Cuba, ma influenzata anche in modo significativo dalle dinamiche geopolitiche dell’epoca della Guerra Fredda e dall’evoluzione delle politiche di immigrazione degli Stati Uniti nei confronti dei cubani. L’emigrazione da Cuba, collegata al fatto che molti, dal 1959 a oggi, sono emigrati negli Stati Uniti, dimostrerebbe come sia stata adottata una exit strategy (l’emigrazione, appunto) rispetto al regime, non potendo rimanere fedeli (loyalty) al sistema monopartitico cubano di fronte alle insoddisfazioni e alla negazione della libertà né potendo valorizzare la voce (voice), cioè protestare per cambiare, per controllare democraticamente, attraverso l’aggregazione e l’articolazione di interessi, perché soffocata dal regime53. La tendenza migratoria si consolidò, infatti, quando il governo cubano si allineò con l’Unione Sovietica.
La seconda ondata ebbe luogo tra la fine del 1960 e il 1962, collegata all’Operazione Pedro Pan (Operación Pedro Pan)54, un programma clandestino che facilitò l’esodo di oltre 14.000 minori cubani non accompagnati, di età compresa tra i 6 e i 18 anni, verso gli Stati Uniti. L’operazione fu avviata per il timore di genitori cubani – tra cui professionisti, intellettuali, artisti e religiosi che si opponevano alle politiche e alla censura – che il governo di Fidel Castro avesse intenzione di porre fine ai diritti dei genitori e di indottrinare i figli. L’operazione fu orchestrata dal Catholic Welfare Bureau di Miami, guidato da padre Bryan O. Walsh, con il significativo sostegno del governo statunitense e della CIA55. L’operazione prevedeva l’evacuazione di massa dei bambini cubani in aereo verso gli Stati Uniti (i cosiddetti Voli della Libertà, Vuelos de la Libertad, che reinsediarono circa 300.000 cubani tra il 1965 e il 197356), con Miami come centro comune. Una volta giunti negli Stati Uniti, furono istituiti programmi di assistenza per i bambini fino al ricongiungimento con i genitori, permettendo alle famiglie di unirsi. L’operazione, finanziata dagli Stati Uniti, fu il più grande esodo di minori non accompagnati mai registrato fino ad allora.
La terza ondata ‘straordinaria’ di migranti, il cosiddetto esodo di Mariel (Éxodo del Mariel) fu un movimento di massa di circa 125.000 cubani – passati alla storia come i Marielitos – che lasciarono il porto di Mariel, a ovest dell’Avana, a Cuba, per la Florida, negli Stati Uniti, tra il 15 aprile e il 31 ottobre 198057. L’esodo fu innescato da una forte recessione
52 https://www.wola.org/analysis/cuban-migration-is-changing-us-must- note/#:~:text=This%20fast,in%20the%20Caribbean%20country%E2%80%99s%20history
53 Qui si fa riferimento al famoso modello elaborato da Albert Hirschman delle tre possibili modalità di reazione a disposizione per migliorare la situazione: andarsene (exit), protestare (voice), affermare la propria appartenenza (loyalty) allo Stato, malgrado le insoddisfazioni. Si veda. A. O. Hirschman (1970), (1970). Exit, voice, and loyalty: responses to decline in firms, organizations, and states, Harvard University Press, Cambridge, Massachusetts.
54 https://americanhistory.si.edu/connect/podcasts/pedro-pan#:~:text=Operation%20Pedro%20Pan%20is%20the,1962
55 https://www.beloit.edu/live/profiles/2524-operation-pedro-pan-cuban-childrens-experience- of#:~:text=Operation%20Pedro%20Pan%20was%20a,the%20inherent%20politicalization%20of%20children
56 https://www.bbc.com/mundo/noticias-america-latina-64104551.amp
57 https://www.history.com/news/mariel-boatlift-castro-carter-cold-war
65

dell’economia cubana, ulteriormente aggravata dall’embargo commerciale degli Stati Uniti, ma la causa immediata che fece precipitare la situazione fu l’occupazione dell’ambasciata peruviana all’Avana da parte di oltre 10.800 cubani che volevano emigrare58. In seguito a questo incidente, il governo cubano annunciò che chiunque volesse partire poteva farlo, aprendo il porto di Mariel all’emigrazione59. L’arrivo dei rifugiati negli Stati Uniti creò problemi politici al presidente statunitense Jimmy Carter e l’esodo si concluse di comune accordo tra i governi cubano e statunitense alla fine di ottobre del 1980.
Una quarta grande ondata seguì il crollo dell’Unione Sovietica nel 1991, che ebbe ripercussioni significative su Cuba. L’improvvisa perdita del sostegno esterno fece precipitare Cuba in una grave crisi economica che determinò un notevole aumento della migrazione da Cuba, in particolare sempre verso gli Stati Uniti, come opportunità di fuga dal peggioramento delle condizioni di vita60. Durante l’estate del 1994, a seguito dei disordini civili a Cuba (noti come rivolte del Maleconazo), Fidel Castro annunciò che chiunque volesse lasciare Cuba poteva farlo senza ostacoli. Questo portò a un esodo di circa 35.000 cubani verso gli Stati Uniti attraverso zattere di fortuna, la cosiddetta crisi di Balsero. La risposta degli Stati Uniti a questo afflusso di migranti cubani fu affidata a operazioni di pattugliamento e intercettazione da parte della Guardia Costiera e la successiva detenzione nella base navale di Guantanamo Bay, con circa 31.000 persone. Tuttavia, il 2 maggio 1995, l’amministrazione Clinton annunciò che la maggior parte dei detenuti sarebbe stata processata e autorizzata a immigrare negli Stati Uniti. Inoltre, in risposta alla crisi, gli Stati Uniti applicarono la cosiddetta politica del “piede bagnato, piede asciutto”, che era un derivato della legge federale promulgata nel 1966, il Cuban Adjustment Act, che permetteva ai cubani che raggiungevano il suolo statunitense (“piede asciutto”: dry foot) di rimanere e richiedere la residenza legale, mentre quelli intercettati in mare (“piede bagnato”: wet foot) venivano rimpatriati a Cuba o reinsediati in un Paese terzo, inoltre approvarono anche un minimo di 20.000 visti di immigrazione all’anno per i cubani. Questa crisi prolungata segnò un capitolo significativo dell’esodo post-sovietico da Cuba, che si è protratto dal 1995 al gennaio del 2017, quando il Presidente Barack Obama, nell’ambito della normalizzazione delle relazioni tra Stati Uniti e Cuba, sospese la politica “piede bagnato, piede asciutto”. Gli accordi di migrazione tra gli Stati Uniti e Cuba del 1984, 1994 e 1995 ebbero un ruolo nel plasmare i flussi migratori in modo molto significativo61, e lo stesso avvenne nel gennaio 2017 durante l’amministrazione statunitense di Barack Obama62.
58 https://cri.fiu.edu/events/2015/mariel-exodus/
59 https://www.history.com/this-day-in-history/castro-announces-mariel-boatlift
60 https://www.lexingtoninstitute.org/survival-story-cubas-economy-in-the-post-soviet- decade/#:~:text=One%20decade%20ago%2C%20the%20demise,percent%20between%201989%20and%201993 e https://www.foreignaffairs.com/cuba/collapsing- cuba#:~:text=By%20the%20beginning%20of%20the,of%20oil%20Cuba%20used%20annually
61 https://www.reuters.com/world/americas/rivaling-cold-war-exodus-cuban-migration-us-is-soaring-heres-why-2022- 04-28/#:~:text=Yes%2C%20in%201984%2C%201994%20and,the%20United%20States%20to
62 https://ascecubadatabase.org/asce_proceedings/usa-cuba-migration-policy-a-political-economy-view/#:~:text=1,CAA
66

I dati del censimento statunitense, a cadenza decennale, mostrano con chiarezza la dinamica nel tempo, per quanto riguarda le migrazioni regolarizzate.
Graf. 2 – Popolazione immigrata cubana negli Stati Uniti, 1960-2021
2021
2010
2000
1990
1980
1970
1960
0
1.279.000 1.105.000
79.150
200.000
400.000
607.814 439.048
600.000
800.000
1.000.000
1.200.000
1.400.000
872.716 736.971
Fonte: Dati dei censimenti statunitensi63 e dati delle indagini sulla comunità americana del 2010 e del 2021 dell’Ufficio del censimento degli Stati Uniti.
Nel 1970 la popolazione immigrata cubana era quasi quintuplicata negli Stati Uniti rispetto a dieci anni prima; dal 1970 al 2000 la stessa popolazione cubana era raddoppiata. Per venire ai giorni più recenti, tra il 2010 e il 2021, la crescita è stata più rapida di quella della popolazione immigrata complessiva: 16% rispetto al 13%. Dal 1970, i cubani sono tra i primi dieci gruppi di immigrati statunitensi di origine nazionale. Cuba è il primo Paese di origine caraibico: il 28% dei 4,5 milioni di immigrati caraibici residenti negli Stati Uniti proviene da Cuba.
Ovviamente, la cadenza decennale dei dati del censimento non significa che ci sia stata un’evoluzione costantemente regolare nel tempo, come si potrebbe supporre guardando il grafico, perché in realtà c’è stato un movimento latente continuo con alcune ondate, come ricordato, l’ultima delle quali, la quinta in base alla schematizzazione qui proposta64, è ancora in corso e consiste in cubani che utilizzano vari mezzi legali o illegali per emigrare,
63 https://www.census.gov/content/dam/Census/library/working-papers/2006/demo/POP-twps0081.pdf
64 il Centro per la democrazia nelle Americhe ha proposto, nel 2020, invece uno schema fondato su tre grandi crisi migratorie. Si veda: https://www.dw.com/es/el-%C3%A9xodo-r%C3%A9cord-e-imparable-de-cubanos-hacia-estados- unidos/a-63000225
67

come ottenere visti, sposare stranieri o attraversare il confine con il Messico, spinti da ragioni economiche, nel contesto della grave crisi, mentre altri cercano maggiore libertà e democrazia.
3.4La diaspora cubana nel mondo
Prima di approfondire l’emergenza migratoria attuale, che corrisponde a una quinta ondata nella schematizzazione proposta, è importante segnalare che, pur essendo gli Stati Uniti di gran lunga la principale meta dei flussi migratori provenienti da Cuba, tuttavia l’esodo cubano ha interessato anche altri Paesi in cui i cubani si sono stabiliti e si è, col tempo configurata una diaspora cubana globale. In particolare, i dati UNDESA permettono di stimare il numero di migranti cubani regolarmente residenti all’estero nel 2020 pari a 1.757.300 persone, di cui circa mezzo milione vive in altri Paesi e mantiene la propria residenza sull’isola65.
Tab. 4 – Popolazione cubana residente all’estero: i principali Paesi di destinazione, 2020
MONDO
Spagna Italia
Cile Canada Germania Brasile Messico Porto Rico Venezuela
Fonte: UNDESA, agosto 2023
Totale 1 757 300
162 368 38 532 23 929 19 221 16 116 14 798 13 546 12 637 10 769
uomini 822 706
73 028 9 329 13 685 9 230 6 630 8 773 7 305 5 871 5 316
donne 934 594
89 340 29 203 10 244 9 991 9 486 6 025 6 241 6 766 5 453
% del totale 100
Stati Uniti d’America66 1 376 211 648 113 728 098 78,3
9,2
2,2
1,4
1,1
0,9
0,8
0,8
0,7
0,6
Un dato importante è quello relativo alla quota prevalente di donne rispetto agli uomini cubani emigrati e residenti all’estero, sia a livello mondiale che negli Stati Uniti. La riforma sull’emigrazione di Cuba del gennaio 2013 aveva eliminato i permessi di uscita e le lettere
65 https://oncubanews.com/cuba/la-emigracion-cubana-un-asunto-que-importa/
66 Nel confronto internazionale è opportuno utilizzare la stessa fonte, che in questo caso è UNDESA, il che però evidenzia una differenza significativa per quanto riguarda il dato relativo ai cubani negli Stati Uniti nel 2020 (1,376 milioni di cubani, secondo la stima UNDESA), addirittura superiore rispetto a quello stimato per il 2021 dall’ufficio del Censimento statunitense e riportato in precedenza (1,279 milioni).
68

di invito per i cittadini residenti sull’isola, esteso da 11 a 24 mesi il periodo di permanenza all’estero senza perdere la residenza e abrogato la legislazione che consentiva la confisca dei beni di chi lasciava il Paese. Le normative successive hanno anche favorito l’aumento dei viaggi all’estero per motivi personali, la possibilità di vivere temporaneamente o permanentemente fuori dal Paese e hanno aperto la porta a un migliore rapporto con la diaspora isolana. Parallelamente a queste misure, i dati del rapporto dell’indagine nazionale sulla migrazione (Encuesta Nacional de Migraciones, ENMIG 2016-2017), pubblicato dall’Ufficio nazionale di statistica e informazione (Oficina Nacional de Estadísticas e Información, ONEI)67 a gennaio 2019 mostravano come le donne prevalessero tra coloro che avevano optato per una residenza temporanea all’estero, mentre gli uomini tra coloro che avevano deciso di vivere in modo permanente68. Il dato di questa femminilizzazione delle migrazioni cubane è significativo, considerando che norme tradizionali di genere, a livello mondiale, possono limitare l’indipendenza delle donne nella migrazione, impedendo loro di sfruttare le opportunità economiche69. Nel caso cubano, il recente aumento del numero di donne migranti si aggiunge al complesso quadro socio-demografico di Cuba, caratterizzato da bassi livelli di fecondità, un fenomeno preoccupante e storicamente collegato alle emigrazioni cubane70, recentemente acuito anche dal fatto che molte ragazze tendono a rimandare la decisione di avere figli fino a quando non saranno emigrate (portando il tasso di fecondità, nel 2022, a 1,45 figli per donna).
Gli Stati Uniti ospitavano nel 2020 il 78,3% del totale dei cubani residenti all’estero e, all’interno degli Stati Uniti, la maggior parte degli immigrati cubani risiedeva in Florida (il 76% dei cubani residenti negli Stati Uniti), seguita a distanza dal Texas (5%) e dal New Jersey (3%)71; molto distanziata, al secondo posto, si colloca la Spagna con 162.368 cubani (pari al 9,2% del totale mondiale). Al terzo posto, molto distanziata per numerosità dalla Spagna si trova l’Italia, che ospitava 38.532 cubani (il 2,2% del totale dei cubani residenti all’estero). Scorrendo la lista dei Paesi, la diaspora cubana residente regolarmente all’estero si concentrava in tre aree: il Nord America, l’Europa occidentale e l’America latina e caraibica.
La vasta diaspora cubana è, indubbiamente, un soggetto politico e culturale di primo piano, peraltro concentrata in un numero ridotto di Paesi e considerando che le stime ipotizzano che complessivamente, regolari e irregolari, siano circa 2,5 milioni i cubani che vivono all’estero. Al contempo, la diaspora cubana ha una storia lunga e complessa, segnata da
67 Si consideri che, a Cuba, nel 2014 entrò in vigore il Decreto Legge 302 che modificava la Legge sulla Migrazione n. 1312 del 1976, e che al paragrafo 2 del nuovo articolo 9.1 recitava «un cittadino cubano è emigrato quando si reca all’estero per affari privati e rimane ininterrottamente per un periodo superiore a 24 mesi senza la corrispondente autorizzazione».
68 https://www.ipscuba.net/sociedad/la-migracion-se-feminiza-en-cuba-y-conlleva-nuevos-retos/
69 A. AmirapuM. N. Asadullah, Z. Wahhaj (2022), “Social barriers to female migration: Theory and evidence from Bangladesh”, Journal of Development Economics, Vol. 158, Settembre, pp. 1-21
70 D. R. Rodríguez González, E. González Peña (2020), “Efectos sociales de la migración en personas mayores”, Novedades en Población, Número Especial, maggio 2020, pp. 29-38.
71 https://www.migrationpolicy.org/article/inmigrantes-cubanos-en-los-estados-unidos
69

fattori politici, economici e sociali che ne hanno plasmato l’identità e il ruolo nel mondo, ma una delle caratteristiche principali della diaspora cubana è la sua diversità, in ragione del fatto che – come visto – esistono diverse ondate migratorie che corrispondono a diversi periodi storici, motivazioni e profili demografici e culturali. La diaspora è composta da generazioni, ideologie, identità e interessi diversi che a volte convergono o divergono su varie questioni legate a Cuba. Esistono differenze generazionali all’interno della diaspora72 per quanto riguarda l’atteggiamento verso gli investimenti a Cuba, i viaggi nell’isola, il sostegno ai parenti attraverso le rimesse e le opinioni sull’embargo statunitense contro Cuba73.
Nel caso degli Stati Uniti, la diaspora cubana è stata politicamente attiva con diverse associazioni che rappresentano i suoi interessi a Washington, rendendola una delle lobby più presenti74. Tra le organizzazioni più importanti c’è Cuban Americans for Engagement (CAFE), che sostiene una nuova relazione tra Stati Uniti e Cuba basata sui principi di scambio, impegno, normalizzazione delle relazioni e diplomazia75. Componenti della diaspora cubana negli Stati Uniti hanno svolto un ruolo cruciale nella definizione della politica estera statunitense nei confronti di Cuba; la loro concentrazione in Florida e le loro posizioni all’interno del governo statunitense consentono loro di esercitare un’influenza significativa76. Per esempio, durante l’amministrazione Bush, l’influenza della diaspora fu evidente nella stesura e nell’adozione di documenti come il Rapporto al Presidente della Commissione per l’assistenza a Cuba libera, noto come Rapporto Powell77. Successivamente, le elezioni statunitensi del 2020 hanno evidenziato collegamenti tra componenti della diaspora cubana negli Stati Uniti e l’ex presidente Donald Trump, evidenziando al contempo una distinzione tra cubani e cubani negli Stati Uniti e riflettendo le complesse identità politiche all’interno della diaspora78.
Inoltre, se la diaspora ha anche contribuito alla trasmissione di nuove idee e allo scambio di espressioni culturali come la musica, la letteratura e altri generi artistici79 e, in particolare, la
72 https://nyunews.com/culture/iequity/2022/03/03/cuban-diaspora-identity-american- experience/#:~:text=A%20recent%20association%20between%20Cuban,between%20Cubans%20and%20Cuban%20A mericans
73 Si veda: M. De Moya, V. Bravo (2021), “The New Cuban Diaspora”, in V. Bravo, M. De Moya (a cura di), Latin American Diasporas in Public Diplomacy, Palgrave Macmillan, Londra.
74 https://www.migrationpolicy.org/article/political-importance- diasporas/#:~:text=Examples%20of%20such%20politically%20active,intervention%20in%20Iraq%20in%202003
75 https://cri.fiu.edu/cuban-america/org- institutes/#:~:text=Cuban%20Americans%20for%20Engagement%20,normalization%20of%20relations%2C%20and% 20diplomacy
76 https://academic.oup.com/nyu-press-scholarship-online/book/18935/chapter- abstract/177282940?redirectedFrom=fulltext
77 https://2001- 2009.state.gov/p/wha/rls/rm/32272.htm#:~:text=This%20morning%20Secretary%20of%20State%20Colin%20Powell% 20and,to%20a%20democratic%20transition%20once%20it%20is%20underway.
78 https://nyunews.com/culture/iequity/2022/03/03/cuban-diaspora-identity-american- experience/#:~:text=A%20recent%20association%20between%20Cuban,between%20Cubans%20and%20Cuban%20A mericans
79 https://revista.drclas.harvard.edu/the-cuban-diasporas-increasing-role-in-the-context-of-changes-on-the-island/
70

consistente diaspora cubana di Miami si è a lungo servita di musei e gallerie per produrre e preservare il proprio senso di comunità, unita dalla perdita insita nell’esilio, i recenti flussi elevati di migranti da Cuba sono interpretati anche come una minaccia per le forme culturali che danno una forte specificità ai cubani di Miami e che molti considerano un’autentica conservazione di qualcosa che è andato perduto con la Rivoluzione cubana80. In base a un recente studio, l’analisi della polarizzazione ideologica dell’emigrazione cubana nei discorsi dei giornali Granma (a Cuba) e New York Times (negli Stati Uniti) mostra una forte contrapposizione interpretativa, dove i media attribuiscono la colpa dell’esodo illegale da Cuba a un unico attore in gioco, Stati Uniti o Cuba81. Al contrario, spiegano José Ramón Sanabria Navarro, Yahilina Silveira Pérez e William Alejandro Niebles Nuñez, le migrazioni cubane attuali sono causate da più fattori e, al contempo, le caratteristiche dei recenti flussi migratori evidenziano come i migranti attuali continuino a essere cubani e a sentirsi parte del Paese, soprattutto nella percezione delle generazioni migratorie dopo la crisi degli anni ‘90 e, in questa logica, rafforzano i loro legami familiari e sono sentiti come tali dai loro connazionali all’interno di Cuba ma, al contempo, il Cuban Adjustment Act statunitense ancora in vigore è percepito come vantaggioso per ottenere la residenza negli Stati Uniti, a prescindere dal fatto che si tratta di una politica migratoria che privilegia solo i cubani con l’esplicita intenzione di essere uno strumento contro la Rivoluzione82.
L’economista cubano Arturo Mesa ha sottolineato l’importanza delle cause non economiche dell’attuale migrazione cubana, sottolineando come l’assenza di un piano di riconciliazione da parte dello Stato cubano con la componente dei dissidenti della diaspora negli Stati Uniti abbia trasformato molti di loro in detrattori del processo di normalizzazione delle relazioni tra Cuba e gli Stati Uniti, favorendo spesso la radicalizzazione della loro posizione nei confronti del proprio Paese83.
Il coinvolgimento economico della diaspora è cresciuto, in particolare con l’invio di rimesse e investimenti in imprese private a Cuba; tale impegno economico ha favorito lo sviluppo di piccole e medie imprese private a Cuba, contribuendo alla creazione di posti di lavoro e alla riduzione della povertà. Al contempo, le rimesse sono ricevute principalmente da famiglie che si definiscono bianche, riproducendo disuguaglianze economiche che si intersecano con il profiling etnico, perché a Cuba le comunità vulnerabili o emarginate hanno una maggiore presenza di neri e meticci, che hanno una minore possibilità economica e opportunità di emigrare all’estero.
Complessivamente, il rapporto dello Stato e del governo cubano con i numerosi emigranti – fortemente condizionato dal conflitto tra il governo cubano e quello statunitense – si è
8080 J. Cearns (2022), “Narrating the Nation: Heterotopian struggles for self-representation in the Cuban diaspora”, Museum Anthropology, Vol. 45(2), pp. 124-139.
81 R. A. Lara, M. B. Sánchez, Y. C. G. León (2022), “La migración cubana desde el discurso periodístico de Granma y The New York Times: Análisis de la polarización ideológica”, Lengua y Migración, Vol 14(1), pp. 45-67.
82 J. R. Sanabria Navarro, Y. Silveira Pérez e W. A. Niebles Nuñez (2023), “Impacto socioeconómico de la migración en Cuba, 2022”, International Journal of Cuban Studies, Vol. 15 (1), pp. 89-108.
83 https://opapeleo.com/noticias/migracion-cubana-analisis-y-comentarios/
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evoluto nel corso degli anni, da quando nel 1978 si tenne il primo Dialogo (El Diálogo), pietra miliare da cui presero avvio una serie di riforme volte a normalizzare il rapporto con gli emigranti84. Una riforma della legge sulla migrazione fu promulgata il 14 gennaio 2013, facilitando i viaggi all’estero dei cubani, compresi i difensori dei diritti umani e i critici del governo85, anche verso gli Stati Uniti. Questa riforma ha rappresentato un passo significativo verso l’alleggerimento delle sfide umane e burocratiche associate alla migrazione da e verso Cuba86 e ha facilitato la possibilità di partire e poi tornare a Cuba, facendo registrare un aumento dei ritorni87, ma anche la possibilità di scegliere di lasciare l’isola temporaneamente o permanentemente, potendo viaggiare più liberamente e mantenere la cittadinanza. Più recentemente, Cuba ha annunciato misure di ulteriore alleggerimento delle restrizioni per i cittadini che vivono all’estero: i passaporti hanno una validità per 10 anni, invece di 6, per i cubani di età superiore ai 16 anni, e i costi associati al rinnovo dei documenti di viaggio fuori dall’isola sono stati ridotti di oltre la metà. Tuttavia, la riforma non migliorava il rispetto dei diritti alla libertà di espressione, associazione e riunione a Cuba e Amnesty International e altre organizzazioni per i diritti umani hanno continuato a criticare Cuba per aver respinto le raccomandazioni di abrogare o modificare la legislazione che criminalizza il legittimo esercizio della libertà di espressione, associazione e riunione88.
3.5L’emergenza migratoria attuale: rotte principali
In questi ultimi tre anni, a causa della gravissima crisi economica, si sta registrando una nuova ondata, senza precedenti, di flussi migratori in uscita da Cuba, la quinta in ordine di tempo dopo quelle descritte in precedenza. Dal 2021, anno segnato a luglio dalle principali proteste pacifiche contro il regime cubano dal 195989, si è infatti sviluppato un aumento
84 Il dialogo fu avviato da Fidel Castro il 6 settembre 1978, durante una conferenza stampa con giornalisti legati alla comunità cubana negli Stati Uniti. Castro invitò i rappresentanti di questa comunità a partecipare a un dialogo diretto, con l’unica condizione che i leader della controrivoluzione non partecipassero al dialogo. I negoziati durante il dialogo portarono alla liberazione di prigionieri politici, simboleggiando un passo verso la riconciliazione. Ad esso fece seguito la “Quarta Conferenza – La Nazione e l’Emigrazione”, tenutasi dall’8 al 10 aprile di un anno dopo all’Avana, per proseguire il dialogo avviato da Fidel Castro nel 1978. Si veda: https://www.granma.cu/cuba/2018-12-07/a-40-anos-del- primer-dialogo-con-la-emigracion-07-12-2018-19-12-37
85 https://www.amnesty.org/en/wp-content/uploads/2021/06/amr250072013en.pdf
86 https://havanatimes.org/news/cuba-immigration-reforms-going-into-effect-today/ e https://globalvoices.org/2013/01/15/cuba-implements-long-awaited-migration- reform/#:~:text=The%20implementation%20of%20the%20long,comment%20on%20the%20historical%20reform
87 https://havanatimes.org/news/last-year-14000-repatriated-to- cuba/#:~:text=HAVANA%20TIMES%20%E2%80%94%20A%20total,policy%2C%20according%20to%20official%2 0reports e https://www.ibtimes.com/cubas-first-year-immigration-reform-180000-people-leave-country-come-back- 1539860#:~:text=Reuters%20A%20year%20ago%2C%20Cuba,five%20decades%2C%20to%20leave%20the
88 https://www.euractiv.com/section/global-europe/news/cuba-praises-immigration-policy-four-years-after-reform/
89 L’11 luglio 2021, decine di migliaia di cubani scesero in piazza per chiedere libertà e migliori condizioni di vita, in un’ondata di proteste mai vista prima. Le autorità risposero nei mesi successivi con arresti di massa e processi sommari.
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dell’esodo di cubani senza precedenti, a causa della pandemia da COVID-19 e dell’aggravarsi della crisi economica, nonostante persista nell’isola l’accesso gratuito ai servizi di Welfare State (salute e istruzione, anzitutto) che distingue Cuba da qualsiasi altro Paese dell’America latina e caraibica,90. Nell’anno fiscale 2022, le autorità statunitensi hanno identificato circa 225.000 cubani al confine terrestre tra Stati Uniti e Messico e sono stati intercettati in mare in più di 6.000 casi, cifre che, messe insieme, superano di gran lunga le due principali ondate tra le quattro precedenti, cioè gli episodi come l’esodo di Mariel nel 1980 e la crisi dei gommoni cubani nel 1994 dopo la dissoluzione dell’Unione Sovietica91.
Graf. 3 – Flussi migratori tra il 1965 e il 2022
Fonte: Havana Consulting Group92
Per altro, come spiegano in una recente intervista Julio Antonio Fernández Estrada, visiting
professor presso il Rockefeller Center dell’Università di Harvard, e Denisse Delgado
Più di 1.500 persone, soprattutto giovani, furono arrestate e almeno 670 sono ancora in carcere oggi, secondo l’ONG Cubalex. Si veda: https://cubalex.org/
90 https://www.infobae.com/estados-unidos/2023/04/03/la-cifra-de-migrantes-cubanos-que-intentaron-llegar-a-eeuu-ya- supero-al-total-del-ano-fiscal-2022/ e https://elpais.com/internacional/2022-09-12/cuba-vive-el-mayor-exodo- migratorio-de-su-historia.html
91 https://www.migrationpolicy.org/article/inmigrantes-cubanos-en-los-estados-unidos
92 https://www.realinstitutoelcano.org/analisis/cuba-crisis-de-gobernanza-y-futuro-incierto/
73

Vázquez, dottoranda in Politiche Pubbliche presso l’Università del Massachusetts a Boston, il contesto e il profilo recente dei migranti è cambiato rispetto al 1980 e al 199493. Nel 1980, con l’apertura del ponte marittimo tra il porto cubano di Mariel e Key West (Florida), gli esuli cubani negli Stati Uniti si recarono a Cuba per prendere i loro parenti e il governo cubano fece imbarcare anche persone che rappresentavano un ‘problema’ per la società cubana, tra cui prigionieri e pazienti psichiatrici e, complessivamente, il livello di istruzione era piuttosto basso. Nel 1994, invece, pur se la migrazione avvenne sempre via mare, la rotta fu molto più rischiosa, i cosiddetti Balseros (cioè imbarcati su zattere di fortuna) erano prevalentemente uomini di città che andavano da soli, senza le loro famiglie, e partirono soprattutto per motivi economici, anche se non mancarono ragioni politiche. Le migrazioni attuali, invece, hanno motivazioni economiche, familiari, professionali e politiche, i migranti hanno background economici e professionali diversi e le rotte della recente ondata migratoria sono più diversificate e coinvolgono vie marittime, aeree e terrestri. I cubani si sono uniti alle carovane di migranti irregolari latinoamericani, con una maggiore presenza di famiglie che migrano insieme, compresi i membri più vulnerabili, come bambini, anziani e persone con patologie. Una differenza importante è che le madri e i padri dei giovani cubani del passato non consigliavano di lasciare il Paese, mentre ora le famiglie fanno piani di emigrazione in cui arrivano a organizzare la partenza dei giovani da soli da Cuba.
La gran parte dei migranti recenti si è diretta a nord verso gli Stati Uniti, meno via mare e più via terra attraverso il Messico, partendo da uno dei Paesi che permette ai cubani di entrare senza visto94, a cominciare dal Nicaragua95 che, con un accordo tra Daniel Ortega e Miguel Díaz-Canel ha abolito l’obbligo di visto per i cubani a partire dal 22 novembre 202196. Sebastián Arcos, dell’Istituto di Ricerca Cubana della Florida International University, in un’intervista con José Díaz-Balart di NBC News disse immediatamente che la decisione del governo del Nicaragua avrebbe aperto un nuovo percorso per i migranti cubani per raggiungere gli Stati Uniti, creando una crisi ancora più grave al confine tra Stati Uniti e Messico97. Diversi studiosi, negli anni, hanno scritto dell’uso da parte del governo de L’Avana della facilitazione a emigrare da Cuba verso gli Stati Uniti per generare crisi e ottenere concessioni da Washington98.
Tra l’ottobre 2021 e l’aprile 2022, circa 115.000 migranti provenienti da Cuba sono arrivati al confine con gli Stati Uniti attraverso la rotta centroamericana, secondo i dati della polizia
93 https://www.democracyinamericas.org/entrevistas/la-ola-migratoria-cubana-actual-el-impacto-de-la-poltica-de-los- eeuu
94 A ottobre del 2023 sono quasi trenta gli Stati che permettono ai titolari di passaporto cubano di entrare nel proprio territorio senza bisogno di visto, a cominciare dai Paesi più vicini (Nicaragua, oltre alle isole di Saint Kitts e Nevis, Antigua e Barbuda, Grenada, Dominica e Saint Vincent e Grenadine), Kirghizistan a tempo indeterminato, Russia fino a 90 giorni (al pari di Botswana e Gambia in Africa). Si veda: https://visafreecountries.com/cuban-passport
95 https://confidencial.digital/confidencialtv/nicaragua-es-el-trampolin-del-nuevo-exodo-masivo-de-cubanos-hacia- estados-unidos/
96 https://www.nbcnews.com/news/latino/cubans-weigh-options-migration-us-new-biden-rules-rcna65264
97 https://www.msnbc.com/andrea-mitchell-reports/watch/sebastian-arcos-new-nicaraguan-policy-could-create-another- crisis-in-cuba-127249477846
98 https://www.cubacenter.org/publications/2022/10/13/explaining-cubas-migration-crises
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di frontiera statunitense (US Customs and Border Protection, CBP). Una rotta che comincia all’aeroporto di Managua, in Nicaragua, con un volo partito da L’Avana. Da Managua, solitamente in taxi verso il confine con l’Honduras, da attraversare a piedi, per poi proseguire per il Guatemala, Paese in cui bisogna muoversi con molta prudenza, su autobus o nascosti in automobili, fino al confine; attraversare un fiume su piccole zattere fino alla città messicana di Tapachula, dove si aspetta il visto umanitario, che dovrebbe arrivare in pochi giorni, e poi consegnarsi al confine con gli Stati Uniti. Un viaggio lungo e pericoloso, oltre che costoso, considerando che i trafficanti di cui si servono i migranti cubani, i cosiddetti Coyotes, chiedono 5.500 dollari a persona, e lungo tutto il percorso si supera il costo di 10.000 dollari a persona99.
Il Messico è il Paese di transito via terra principale per i migranti cubani, poiché ha un lungo confine con gli Stati Uniti ed è relativamente facile da raggiungere da Cuba. Tuttavia, negli ultimi anni il Messico è diventato sempre più severo nell’applicazione delle norme sull’immigrazione e i migranti cubani incontrano diverse difficoltà nell’entrare o nell’attraversare il Paese. Si sono infatti osservati molti cubani espulsi dagli Stati Uniti e rimandati in Messico vicino al ponte di confine internazionale Lerdo Stanton a Ciudad Juarez, in Messico100, date le difficoltà di rimpatriare i migranti cubani dagli Stati Uniti direttamente a Cuba101.
Panama è un altro Paese di transito popolare per i migranti cubani, perché ha una politica di immigrazione relativamente liberale ed è abbastanza facile da raggiungere da Cuba. Tuttavia, Panama è anche un piccolo Stato e i migranti cubani hanno più difficoltà a trovarvi lavoro o alloggio.
Anche il Costa Rica è un Paese di transito comune per i migranti cubani, grazie alla sua politica di immigrazione liberale e alla sua vicinanza agli Stati Uniti. Ma il Costa Rica è un Paese più costoso, il che rende difficile per i migranti potersi permettere di viverci per un periodo di tempo prolungato.
Un percorso meno convenzionale rispetto a quello che ha per meta finale gli Stati Uniti ha attratto diversi cubani a sud, in America latina, per esempio verso l’Uruguay. Viaggi di oltre 6.000 km, spesso in autobus, da Cuba a Sud via mare, poi attraverso la giungla della Guyana fino alla città di Lethem alla frontiera col Brasile, da lì ingresso in Brasile in direzione della città brasiliana di Boa Vista, per essere consegnati a trafficanti che li portano in auto e in aereo fino al confine tra Brasile e Uruguay, per approdare infine alla città di Rivera, in Uruguay, oltre il confine col Brasile. Ma anche il governo uruguaiano ha iniziato ad
99 https://confidencial.digital/nacion/cubanos-gastan-23-000-dolares-para-llegar-a-ee-uu-por-la-via-nicaragua/
100 https://www.reuters.com/world/americas/cuba-agrees-accept-us-deportation-flights-border-crossings-rise-2022-11- 11/#:~:text=,Juarez%2C%20Mexico%20May%203%2C%202022
101 I voli di espulsione erano stati interrotti a causa della pandemia da COVID-19 e solo a novembre 2022 funzionari statunitensi e cubani si sono incontrati per riprendere i voli di espulsione. Va tenuto presente che, in generale, per gli Stati Uniti si tratta di uno strumento importante per scoraggiare i migranti, anche se controproducente nella strategia di comunicazione contro l’Impero del Male, ma i rimpatriati rappresentano un rischio potenziale per le autorità cubane.
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applicare nuove norme più stringenti per ottenere la residenza permanente e oggi i richiedenti devono mostrare i timbri di ingresso e uscita dal Brasile sul passaporto, il che non è possibile per molti migranti che sono entrati nel Paese attraverso percorsi irregolari, lasciando circa 10.000 immigrati cubani in un limbo migratorio.
Ma, anche nel caso della rotta verso la principale destinazione, gli Stati Uniti, il percorso migratorio è tutt’altro che facile, considerando che anche se la maggior parte dei cubani viaggia via terra dall’America centrale, alcuni tentano la pericolosa traversata in barca attraverso lo stretto della Florida102.
3.6L’emergenza migratoria attuale: La situazione relativa agli Stati Uniti
Il 20 marzo 2020, Stati Uniti e Messico rilasciavano una dichiarazione congiunta in cui si annunciava la chiusura del confine terrestre tra Stati Uniti e Messico a tutti i viaggi “non essenziali”, definiti come viaggi di natura turistica o ricreativa103. Il 21 marzo 2020 il Presidente degli Stati Uniti, in conformità al titolo 42 del Codice degli Stati Uniti, sezione 265, aveva stabilito che, a causa dell’esistenza del COVID-19 in Messico e in Canada, esistesse un grave pericolo di ulteriore introduzione del COVID-19 negli Stati Uniti104. Nell’interesse della salute pubblica era pertanto necessario vietare l’introduzione di persone o beni, in tutto o in parte, dal Messico e dal Canada. In base a questo ordine, la polizia di frontiera statunitense vietava l’ingresso di persone che potenzialmente rappresentavano un rischio per la salute, sia in virtù di restrizioni di viaggio annunciate in precedenza, sia perché entrate illegalmente nel Paese per eludere le misure di screening sanitario. Per contribuire a prevenire l’introduzione del COVID-19 nelle strutture di frontiera e negli Stati Uniti, le persone soggette all’ordine non venivano trattenute in aree di raccolta, ma immediatamente espulse verso il loro Paese di ultimo transito. Nel caso in cui una persona non potesse essere rimpatriata nel Paese di ultimo transito, la polizia di frontiera statunitense collaborava con inter-agenzie per garantire l’espulsione nel Paese di origine e trattenerla su suolo statunitense per il minor tempo possibile. Questo ordine non si applicava alle persone da escludere in base a considerazioni di applicazione della legge, sicurezza pubblica e degli agenti, interessi umanitari o di salute pubblica. Le espulsioni ai sensi del Titolo 42 non sono state basate sullo status di immigrato e sono state gestite separatamente dalle azioni di applicazione della legge sull’immigrazione, ma il Titolo 42 è stato, di fatto, un ordine di sanità pubblica che ha consentito agli Stati Uniti di espellere rapidamente i migranti al
102 https://english.elpais.com/international/2022-12-15/the-cuban-migration-crisis-biggest-exodus-in-history-holds-key- to-havana-washington-relations.html
103 https://www.foley.com/en/insights/publications/2020/04/summary-us-immigration-measures- coronavirus#:~:text=Similarly%2C%20on%20March%2020%2C%202020%2C,Mexico%20border%20closing%20restr ictions
104 https://www.theguardian.com/us-news/2023/may/13/title-42-migration-biden-new-policy-tougher 76

confine tra Stati Uniti e Messico senza ascoltare le loro richieste di asilo, in nome dell’esigenza prevalente di dover contrastare la pandemia da COVID-19.
Lo stesso è stato attuato anche dall’amministrazione Biden fino al maggio 2023105, perché quando, nel 2022, l’amministrazione Biden cercò di eliminare gradualmente il Titolo 42, l’iniziativa fu bloccata da una causa intentata dai repubblicani in 19 Stati106. Con la scadenza dell’emergenza sanitaria legata alla pandemia da COVID-19, il Titolo 42 venne anch’esso a scadenza, ma nel frattempo, secondo le statistiche governative107, era stato utilizzato per espellere i migranti dal confine meridionale degli Stati Uniti oltre 2,7 milioni di volte.
L’applicazione del Titolo 42 è coincisa con dei cambiamenti nelle nazionalità dei migranti incontrati al confine tra Stati Uniti e Messico. Prima del 2020, oltre il 90% dei migranti fermati al confine proveniva dal Messico e dall’America centrale settentrionale. Nel 2022 questa percentuale è scesa al 57%, indicando una diversificazione della popolazione migrante che ha incluso, tra gli altri, anche molti migranti cubani108.
In concreto, le implicazioni negative del Titolo 42 per i migranti cubani sono state il dover affrontare maggiori ostacoli per chiedere asilo negli Stati Uniti e coloro – la maggior parte – che attraversavano il confine venivano rapidamente allontanati e soggetti a divieti di cinque o dieci anni se sorpresi a rientrare illegalmente negli Stati Uniti109. Inoltre, avevano già dovuto affrontare pericoli e difficoltà in Messico, dove avevano aspettato mesi o anni per avere la possibilità di entrare legalmente negli Stati Uniti.
Questa norma è stata contestata dai gruppi per i diritti degli immigrati in una corte federale, sostenendo che violava il diritto statunitense e internazionale110. Anche organizzazioni come
105 https://www.theguardian.com/us-news/2023/may/11/what-is-title-42-explainer-immigration e https://www.houstonpublicmedia.org/articles/news/politics/immigration/2022/10/12/434958/biden-administration- extending-title-42-migrant-expulsions-says-mexican-government/
106 Come riporta il sito web della Casa Bianca, il 20 gennaio 2021 il Presidente Biden aveva inizialmente inviato al Congresso una proposta di legge sull’immigrazione, come parte del suo impegno a modernizzare il sistema di immigrazione statunitense. Il disegno di legge, denominato U.S. Citizenship Act of 2021, mirava a fornire percorsi di cittadinanza agli immigrati privi di documenti, a tenere unite le famiglie, a gestire il confine, ad affrontare le cause profonde dell’immigrazione e a garantire che gli Stati Uniti rimangano un rifugio per coloro che fuggono dalle persecuzioni. Tuttavia, il disegno di legge incontrò l’opposizione dei repubblicani e le contestazioni legali di alcuni Stati. Di conseguenza, l’amministrazione Biden si è mossa per attuare alcune nuove misure di controllo delle frontiere per ridurre il numero di persone che attraversano illegalmente i porti d’ingresso. Norme come quella che impedisce ai migranti di ottenere asilo se non richiedono lo status di rifugiato in un altro Paese prima di entrare negli Stati Uniti sono state criticate dai gruppi per i diritti umani e contestate in tribunale dall’American Civil Liberties Union e da altri gruppi per i diritti degli immigrati. Si veda: https://www.whitehouse.gov/briefing-room/statements-releases/2021/01/20/fact- sheet-president-biden-sends-immigration-bill-to-congress-as-part-of-his-commitment-to-modernize-our-immigration- system e https://www.forbes.com/sites/andyjsemotiuk/2023/08/22/bidens-immigration-reforms-new-initiatives-replace- early-setbacks/ e https://www.whitehouse.gov/briefing-room/statements-releases/2023/01/05/fact-sheet-biden-harris- administration-announces-new-border-enforcement-actions/
107 https://www.cbp.gov/newsroom/stats/nationwide-encounters
108 https://www.wola.org/analysis/end-title-42/#:~:text=4,had%20dropped%20to%2057%20percent 109 https://www.bbc.com/news/world-us-canada-65477653
110 https://www.theguardian.com/us-news/2023/may/13/title-42-migration-biden-new-policy-tougher
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le Nazioni Unite e Human Rights Watch, hanno espresso dubbi su norme che rischiano di sovvertire il diritto legale all’asilo negli Stati Uniti.
Dopo la fine del Titolo 42, gli immigrati cubani sono stati sottoposti a un trattamento standard per l’immigrazione, noto come Titolo 8. Il 5 gennaio 2023, il Dipartimento di Sicurezza Nazionale degli Stati Uniti (DHS) ha introdotto un nuovo processo di immigrazione specificamente volto a fornire un modo sicuro e legale per le persone qualificate provenienti da Cuba, Haiti, Nicaragua e Venezuela e con uno sponsor finanziario negli Stati Uniti, per viaggiare in aereo e risiedere temporaneamente negli Stati Uniti. Questo processo consente anche a queste persone di richiedere un’autorizzazione al lavoro durante il loro soggiorno111.
In particolare, il nuovo programma di libertà vigilata è volto a incoraggiare l’immigrazione legale e si iscrive nel quadro della decisione di accettare fino a 30.000 migranti al mese negli anni fiscali 2023 e 2024 da Paesi come Cuba, Nicaragua e Venezuela112. Il programma è un’espansione di un precedente programma pilota istituito per i venezuelani nell’ottobre 2022 e che richiedeva la cooperazione del Messico113 e l’obiettivo era quello di creare un sistema più ordinato e umano per la gestione dei flussi di migranti, in particolare quella proveniente da Paesi che devono affrontare sfide politiche ed economiche significative114, affrontando al contempo le problematiche associate alla sicurezza dei confini115. Tuttavia, in termini numerici, questa quota potrebbe non essere sufficiente a soddisfare la domanda cubana, dal momento che nell’ultimo anno 250.000 cubani – più del 2% della popolazione dell’isola – sono stati intercettati dopo aver tentato di entrare negli Stati Uniti. Il programma prevede anche misure di applicazione più severe per scoraggiare l’attraversamento non autorizzato delle frontiere ed espellere coloro che non hanno i requisiti per il programma. E, come altrove, la storia migratoria cubana dimostra che le politiche restrittive – soprattutto da parte cubana e/o statunitense – sono diventate un fattore scatenante della migrazione irregolare, che funziona come “valvola di sfogo”.
La nuova norma rende, inoltre, più difficile per i cubani richiedere l’ingresso legale negli Stati Uniti attraverso l’ambasciata dell’Avana, riaperta nel 2015 ma chiusa nel 2017 a causa di alcuni non meglio precisati “attacchi sonici”116 che avevano fatto ammalare decine di funzionari, obbligando i cubani che desiderassero richiedere l’ingresso legale negli Stati Uniti a recarsi in Guyana, sulla costa settentrionale del Sud America. L’ambasciata statunitense a Cuba ha ripreso il servizio completo di visti per immigrati nel gennaio 2021,
111 https://www.uscis.gov/newsroom/alerts/dhs-implements-new-processes-for-cubans-haitians-and-nicaraguans-and- eliminates-cap-for-venezuelans
112 https://www.theguardian.com/world/2023/jan/10/cuban-exodus-us-embassy-havana-immigration-policy
113 https://thehill.com/latino/3800227-us-planning-to-accept-up-to-30000-migrants-monthly-under-expanded- humanitarian-program/
114 https://thehill.com/latino/3800227-us-planning-to-accept-up-to-30000-migrants-monthly-under-expanded- humanitarian- program/#:~:text=Under%20the%20program%2C%20the%20United,expel%20migrants%20who%20show%20up 115 https://www.reuters.com/world/us/biden-planning-visit-us-mexico-border-2023-01-04/
116 https://it.insideover.com/politica/mistero-delle-armi-segrete-cuba-impazzire-lintelligence-americana.html 78

ma pretendendo che i richiedenti si presentino con il modulo di richiesta di permesso scaricato online prima di arrivare all’ambasciata; procedura questa, che può essere difficile per molti cubani che non hanno accesso a Internet o che devono affrontare la censura e la sorveglianza del governo cubano117.
Il nuovo programma è stato criticato da alcuni sostenitori degli immigrati, secondo i quali è troppo limitato ed esclude molte persone che hanno bisogno di protezione, considerando anche le condizioni da soddisfare (i candidati selezionati devono superare controlli sul passato, possedere un passaporto valido, essere in grado di acquistare il biglietto aereo e dimostrare di avere uno sponsor con uno status legale negli Stati Uniti che possa sostenerli finanziariamente). Inoltre, le persone che attraversano irregolarmente Panama, Messico o Stati Uniti dopo l’11 maggio 2023 non sono ammissibili al nuovo programma e, secondo le leggi statunitensi sull’immigrazione, le conseguenze includono un divieto di reingresso di almeno 5 anni, la perdita dell’idoneità per i percorsi legali e l’incriminazione per i recidivi, con il Messico che ha accettato di rimpatriare fino a 30.000 migranti che non utilizzano questi percorsi legali al mese.
Tuttavia, i dati relativi ai primi sei mesi del 2023, da gennaio a giugno, dei processi di liberazione condizionale o vigilata per cubani, haitiani, nicaraguensi e venezuelani dimostrano che l’impegno dell’Amministrazione Biden ad ampliare i percorsi legali come alternativa alla migrazione irregolare ha dato alcuni risultati positivi. I processi di liberazione condizionale hanno ridotto significativamente la migrazione irregolare e negato ai Coyotes l’opportunità di sfruttare quasi 160.000 persone che hanno invece beneficiato di percorsi sicuri, ordinati e umani. Da quando sono iniziati questi processi e applicate le nuove misure, gli incontri illegali al confine sud-occidentale di persone provenienti da questi Paesi si sono ridotti da una media di 3.453 incontri a settimana a metà dicembre, a una media di 394 alla fine di giugno, con un calo dell’89%. Più di 38.000 cubani sono stati controllati e approvati per il viaggio, e più di 35.000 sono arrivati118.
Proprio per il grande interesse che le procedure per chiedere la libertà vigilata o condizionata caso per caso avevano comunque suscitato, il governo degli Stati Uniti ha aggiornato le procedure con una revisione a partire dal 17 maggio 2023119.
Venendo ai dati più recenti disponibili, secondo le stime della US Customs and Border Control120, nel 2022 ben 306.612 cubani – ben oltre il 2% dell’intera popolazione dell’isola – hanno attraversato il confine meridionale del Paese, spinti soprattutto dal crollo economico di Cuba. Molti hanno chiesto asilo, ma a causa dell’arretratezza delle norme
117 https://apnews.com/article/politics-mexico-cuba-havana-covid-d8196aa4b003f22a66d9847b3e37dcff
118 https://www.dhs.gov/news/2023/07/25/fact-sheet-data-first-six-months-parole-processes-cubans-haitians- nicaraguans-and
119 https://www.uscis.gov/CHNV#:~:text=The%20U,process%20effective%20May%2017%2C%202023 e https://www.dhs.gov/news/2023/07/25/fact-sheet-data-first-six-months-parole-processes-cubans-haitians-nicaraguans- and#:~:text=Up%20to%2030%2C000%20individuals%20per,years%20and%20receive%20work%20authorization
120 https://www.cbp.gov/newsroom/stats/nationwide-encounters
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sull’immigrazione negli Stati Uniti, i loro casi possono richiedere anni per essere risolti. In precedenza, questo ritardo poteva andare a vantaggio dei richiedenti asilo. Resta il principio che, dopo un anno di permanenza negli Stati Uniti, i cubani possono ottenere una carta verde indipendentemente dal loro status legale grazie al percorso per ottenere la residenza permanente definito dal Cuban Adjustment Act.
Graf. 4 – Cubani intercettati mensilmente negli Stati Uniti dalle pattuglie di frontiera degli Stati Uniti (U.S. Border Patrol, USBP), anni fiscali 2020-2023 (migliaia)
40 30 20 10
0
Ott. Nov. Dic. Gen. Feb. Mar. Apr. Mag. Giu. Lug. Ago. Sett.
2020 2021 2022 2023 (parziale)
Ott. Nov. Dic. Gen. Feb. Mar. Apr. Mag. Giu. Lug. Ago. Set. Totale 2023 29.882 35.880 44.079 11.911 6.545 6.815 8.998 9.466 10.884 7.486 12.697 184.643 2022 6.065 6.679 8.198 9.830 16.657 32.394 35.092 25.982 16.447 20.492 20.029 26.742 224.607 2021 1.691 1.614 2.122 1.972 3.881 5.716 3.340 2.737 3.122 3.605 4.585 4.918 39.303 2020 1.931 1.244 1.009 732 674 520 183 539 981 1.612 2.216 2.374 14.015
Fonte: USBP, settembre 2023
I dati, che mostrano con evidenza l’eccezionalità del fenomeno, riflettono anche un dettaglio dei profili demografici, che permettono di distinguere tra quattro categorie:

  • Adulti singoli
  • Individui in un’unità familiare
  • Minori accompagnati
  • Bambini non accompagnati /Minori singoli.
    80

Graf. 5 – Cubani intercettati annualmente negli Stati Uniti dalle pattuglie di frontiera degli Stati Uniti (U.S. Border Patrol, USBP), confronto per status demografico, anni fiscali 2020- 2023 (migliaia)
180.000 160.000 140.000 120.000 100.000
80.000 60.000 40.000 20.000
52.287 56.899
171.318 126.098
31.698
12.502
0
1.440 7.566
Adulti singoli
Individui in un’unità familiare
2020 2021
64 35 983 1.312 Minori non
accompagnati 2022 2023
9 4 19 334 Minori accompagnati
Fonte: USBP, settembre 2023
Dal 2020 al 2023 (con dati aggiornati a settembre 2023) sono cresciuti e hanno registrato numeri assoluti significativi sia gli adulti singoli che gli individui in un’unità familiare (che, peraltro, hanno registrato già un valore per il 2023, ancorché parziale, superiore a quello dell’intero 2022). Pur essendo numeri molto più bassi degli altri profili demografici, comunque il dato dei minori non accompagnati è cresciuto da 64 (nel 2020) a ben 1.312 (nel 2023, aggiornato a settembre), come pure i minori accompagnati sono aumentati da 9 (2020) a ben 334 (2023).
3.7 Una carrellata sulle trasformazioni delle migrazioni e la persistenza delle motivazioni. Intervista a Tommaso Santambrogio
C’è uno sguardo, spesso scomodo, sulle cose del mondo che viene dall’arte e dalla cultura, con poeti, musicisti, fotografi, cineasti che raccontano quel che vivono, provano e osservano, obbligandoci a prendere in considerazione prospettive che altrimenti, forse, sarebbero trascurate. Il tema delle migrazioni non fa eccezione e numerose sono le opere che offrono spunti e prospettive, anche originali, per comprendere meglio il peso emotivo e psicologico delle migrazioni (componente non sempre tenuta in giusta considerazione dalle politiche migratorie) e le più ampie implicazioni socio-politiche. A inizio del millennio, il premio Nobel 1986 per la letteratura, il poeta e drammaturgo nigeriano Wole Soyinka,
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accorato difensore dei diritti umani ed esiliato per anni, scrisse una poesia sul tema; più recentemente la scrittrice e poetessa britannica nata da genitori somali in Kenya, Warsan Shire, ha catturato in modo eloquente il dolore e la disperazione dei rifugiati nella sua poesia “Casa” (Home), il cui incipit recita «Nessuno lascia la casa, a meno che la casa non sia la bocca di uno squalo»121. Viet Thanh Nguyen, scrittore e accademico vietnamita naturalizzato statunitense, affronta nelle sue opere l’esperienza dei rifugiati, delle migrazioni e del lasciare la propria terra, come nella raccolta di racconti intitolato “I rifugiati” (The Refugees). Per non disumanizzare chi emigra come altro e diverso da noi, la scrittrice nigeriana Chimamanda Ngozi Adichie ha scritto che «Siamo tutti rifugiati. Siamo tutti dei migranti»122.
Proprio perché lo sguardo artistico aiuta a cogliere e mettere a fuoco, da una prospettiva particolare, aspetti e implicazioni di fenomeni complessi, a conclusione del focus seguono alcune riflessioni, sul tema delle migrazioni a Cuba, raccolte tramite intervista da parte di chi scrive (MZ) a Tommaso Santambrogio (TS), già collaboratore di Werner Herzog e Lav Diaz, sceneggiatore e regista del film d’apertura delle Giornate degli Autori alla Biennale di Venezia 2023, “Los océanos son los verdaderos continentes” (Gli oceani sono i veri continenti). Si tratta di un film intenso sull’irrompere oggi, nella vita quotidiana di diverse generazioni, degli effetti o dei progetti delle migrazioni a Cuba, Paese che il regista conosce molto bene.
MZ
In termini generali, non facendo cioè unicamente riferimento al caso cubano, oggi si tende ad affrontare il tema delle migrazioni come una grande emergenza. Vale in Italia e nel Mediterraneo, come pure negli Stati Uniti. Invece, nel film è sottolineato un aspetto che mi ha colpito: è la trasversalità del tema migratorio che attraversa diverse generazioni. Nel caso di Cuba, c’è una storia migratoria che interessa gli anziani di oggi che hanno vissuto nel passato le migrazioni (nel film è la storia di una signora anziana che vive ricordando un amore perso durante una missione militare in Angola che, per Cuba, interessò molte migliaia di persone), i giovani di oggi che emigrano (nel film è la storia di due giovani artisti, che significa anche il bisogno di realizzarsi emigrando) e i bambini che forse emigreranno nel futuro (due amici e compagni di scuola che condividono il sogno di diventare stelle del baseball negli Stati Uniti). Raccontando lo spettro della separazione in termini intergenerazionali si riporta il tema migratorio a un fenomeno che non è schiacciato sull’attualità emergenziale, ma guarda a un processo di lungo periodo, che ha avuto dei cambiamenti significativi nella sua dinamica storica, una realtà in trasformazione. Cosa pensi di questo aspetto delle migrazioni a Cuba?
TS
121 https://www.facinghistory.org/resource-library/home-warsan-shire
122 «We are all refugees. We are all migrants». Si veda: C. Ngozi Adichie (2014), We Should All Be Feminists,
HarperCollins, New York.
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Il fenomeno migratorio, a Cuba come altrove, è una realtà in continua trasformazione ed è sempre strettamente legato alla dimensione socio-economica e politica del Paese. Sono diverse le variabili che condizionano il percorso migratorio.
Sicuramente, Cuba è un’isola che è stata caratterizzata da migrazioni in modo significativo e per diverse ragioni.
Nel momento stesso in cui si instaurò la rivoluzione cubana, nel 1959, con idee socialiste e che prese presto un carattere comunista, ci fu la cosiddetta grande migrazione, che interessava parte della borghesia che lasciò il Paese alla volta soprattutto degli Stati Uniti, ma anche dell’Europa, a seguito delle misure governative di confisca dei beni. Successivamente, Cuba attraversò vari cicli economici strettamente influenzati dall’alleanza con l’Unione Sovietica, con un periodo più florido negli anni Settanta e, poi, col crollo del muro di Berlino e la fine dell’Unione Sovietica nel 1991, con una gravissima crisi economica che portò a quello che è stato chiamato Período especial in tempo di pace. Il Periodo speciale fu un lungo periodo di crisi economica, con il venir meno dei sussidi sovietici, acuita dall’inasprimento dell’embargo statunitense a partire dal 1992. Si registrò una contrazione del PIL del 36% nel periodo 1990-1993, scarseggiava cibo e carburante; di conseguenza a questa difficile fase, aumentarono molto le spinte a emigrare da Cuba e ci fu la prima e più grande manifestazione contro il governo, il Maleconazo, sul lungomare (Malecon) de L’Avana nel 1994.
Nel frattempo, c’erano stati fenomeni migratori, anzitutto quello legato al sostegno all’indipendenza dell’Angola che portò, tra il 1975 e il 1991, oltre 350.000 cubani in Angola e che interessò anche altri Paesi dell’Africa.
Allo stesso modo, va ricordata l’esperienza del contingente medico cubano che, al pari di un esercito, è stato inviato per molti anni in giro per il mondo a fornire assistenza medica di qualità, in cambio di fornitura di beni, anzitutto per l’agricoltura.
Tendenzialmente, per il fatto stesso di essere un’isola, Cuba ha, di fatto, sempre mostrato una propensione a guardare all’orizzonte in una maniera particolare e a relazionarsi con mondo esterno conseguentemente.
In breve, direi che l’effetto combinato di una presa di posizione politica netta e ideologica da un lato e la prossimità geografica degli Stati Uniti dall’altro ha determinato fenomeni migratori significativi, seppure con andamenti altalenanti in funzione del contesto.
Da ultimo, a partire dal periodo post pandemia da COVID-19 è iniziata quella che finora appare come la più grande crisi migratoria della storia di Cuba, almeno dal momento in cui si sono registrati e diffusi i dati sulle migrazioni.
Complice un inasprimento dell’embargo imposto dall’amministrazione Trump degli Stati Uniti, in questi ultimi anni la contrazione del fenomeno turistico, anzitutto nordamericano e, in particolare, statunitense, anche con le navi da crociera (importante fonte di guadagno e di valuta estera per l’isola), si è sommata agli effetti pesantissimi della pandemia e delle misure di contenimento che hanno colpito un sistema basato in gran parte sull’economia informale, il mercato nero e la possibilità di importare beni che lo Stato non riusciva a fornire attraverso i canali ufficiali, ricorrendo a turisti e cubani attivi nell’import-export con vari Paesi che non richiedevano il visto.
C’è anche stata la riforma monetaria che, dal 1° gennaio 2021, aboliva il sistema della doppia valuta su cui si reggeva il sistema dei pagamenti cubani e che prevedeva l’esistenza sia di una moneta (i pesos cubani, o CUP) per i cubani che di un’altra moneta (i pesos convertibili, o CUC), ancorata al dollaro statunitense e utilizzabile dagli stranieri, collegata al flusso turistico. In quel momento, considerando che non c’erano riserve di dollari o euro
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sufficienti a garantire una stabilità economica, si è creata una bolla inflazionistica che continua tutt’ora e che ha minato anche la stabilità e solidità del Paese.
Tutti questi eventi hanno portato a incrementare il fenomeno migratorio, non dimenticando in aggiunta che l’isola cubana non presente un governo a stampo democratico e non prevede un’effettiva libertà d’espressione, altra motivazione che spinge molte persone a lasciare il Paese.
Cuba è un Paese che è sempre stato caratterizzato, come penso sia vero per tutte le piccole isole, dalla mancanza sistematica di alcuni beni non reperibili internamente e, considerate le peculiarità socio-politiche della realtà caraibica, questo senso di mancanza è sfociato in una propensione maggiore a emigrare, con molte persone che lasciavano il Paese cui inviavano poi rimesse per garantire condizioni di vita più dignitose a chi era rimasto. Nel contesto contemporaneo, si è aggiunta a queste caratteristiche strutturali una crisi gravissima e molto preoccupante da vari punti di vista, a cominciare dal fatto che moltissimi di quelli che stanno emigrando, più che nel passato, sono giovani e giovanissimi. Quindi, Cuba è un Paese che sta invecchiando drammaticamente, in modo innaturale, perché rimangono solo gli anziani, la forza lavoro si assottiglia, se ne stanno andando gli artisti e persone di cultura, che hanno un ruolo fondamentale nel portare avanti un discorso sul senso di Identità culturale di un Paese.
Insomma, l’attuale crisi migratoria va di pari passo con una drammatica crisi economica, ed è gravissima. Ci sono pochi dati ufficiali, anche perché si tende a dichiarare solo la migrazione legale dimenticandosi dell’enorme peso di quella sommersa ed illegale; comunque si parla di circa un milione di persone che hanno lasciato Cuba negli ultimi tre anni, cioè quasi il 10% della popolazione di Cuba, di 11 milioni di abitanti. Solo nell’ultimo anno, almeno 300.000 persone, forse di più, sono andate negli Stati Uniti.
MZ
Praticamente, un esodo di massa … Il riferimento alla natura e identità di Cuba come isola mi fa venire in mente un dato che mi colpì molto, relativo alle isole africane. In Africa ci sono molti flussi migratori, ma quello che caratterizza specificamente gran parte delle isole sono movimenti migratori tra le isole stesse dell’Africa: molti di coloro che emigrano da un’isola, cioè, vanno in altre isole.
E mi sembra interessante anche il richiamo all’emigrazione che investe il mondo artistico e culturale, che è un presidio importante per l’identità di un popolo.
Proprio in relazione all’identità e alle trasformazioni nel tempo, come pure ai cicli migratori di cui parlavi, hai sottolineato come la fase attuale sia eccezionale con l’acuirsi dei problemi. La domanda è: se tu avessi dovuto immaginare e girare un film non oggi, ma trent’anni fa, prendendo un bambino, una coppia di giovani e un anziano di allora, cosa pensi avresti raccontato? In un contesto storicamente diverso sarebbero cambiate le principali motivazioni e aspirazioni a emigrare o quelle sono rimaste sostanzialmente le stesse nel tempo?
TS
Penso che, negli ultimi trent’anni, il grande cambiamento che ha segnato la quotidianità della vita a Cuba sia stato l’arrivo di Internet, l’accessibilità e l’uso – pur con tutti i limiti e filtri del caso, che impediscono di accedere per esempio a tante piattaforme che in Occidente sono largamente diffuse – della rete, cioè l’accessibilità a una comunicazione
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diretta con l’esterno che è anche, nel caso di Internet, una vetrina di un consumismo esterno. È vero che a Cuba Internet è senza pubblicità, tuttavia la possibilità di avere un confronto costante con l’esterno, con i modelli di società esterni che a Cuba, a differenza di tanti altri Paesi, non c’erano fino a pochi anni fa, ha cambiato drammaticamente la percezione dell’altrove e anche i fenomeni migratori stessi.
Per la stessa ragione, l’arrivo di Internet sta contribuendo a cambiare internamente il Paese in modo strutturale. Penso che quello sia stato il più grande cambiamento a livello socio- culturale occorso nel Paese degli ultimi anni, più della morte di Fidel Castro, più di qualsiasi altra cosa.
MZ
In che senso questa esposizione al mondo come vetrina offerta da Internet sta cambiando Cuba? I giovani sono più attratti dall’Occidente di ieri?
TS
Sì, certamente più influenzati dall’Occidente, più influenzati dalla cultura occidentale, nord- americana e ciò provoca sicuramente più frustrazione e disperazione.
Nel momento in cui a Cuba non si aveva una vetrina che ti mostrava lo stile di vita, le opportunità e le scelte di altri Paesi, e il tuo modello di società non aveva comparazioni con la realtà contestuale estera, era più facile accettare la propria condizione di vita. Quando invece, come succede oggi, sei bombardato tutti i giorni dalle chiamate dei parenti all’estero, da messaggi ed immagini, o quando è sufficiente cercare video musicali in stile Reggaeton che arrivano da Miami e Internet ti propone costantemente un modello di benessere, ricchezza e sperpero diametralmente opposto alle tue condizioni di grande restrizione, tutto diventa più complicato e frustrante. Cambia anche il modo in cui percepisci la migrazione, perché la vedi sicuramente da un lato come una qualcosa che scegli per una motivazione economica, per una motivazione sociale di maggiore libertà, ma dall’altro lato è una scelta che è influenzata dai modelli di vita e società che tramite Internet ti vengono venduti costantemente (e che spesso poi si rivelano, almeno in parte, falsi). Penso, al riguardo, che ci sia una strumentalizzazione, molto consapevole dal punto di vista nordamericano, della forza di Internet e dei propri mezzi di comunicazione a Cuba. Non è un caso che una delle soluzioni che viene prontamente adottata in molti Paesi africani, centro-americani e a Dubai, quando c’è una crisi interna a livello politico e sociale, è la sospensione di Internet per alcuni giorni e l’impossibilità di accedervi.
Gli Stati Uniti, dall’altro lato, cercano sempre di inserirsi con la propria copertura satellitare sull’isola, considerando la distanza tra i confini di appena 150 km.
L’accesso a Internet è la componente che, forse, ha cambiato di più il fenomeno migratorio a Cuba. Dal 2018, è presente una linea 3G e non solo quella satellitare e dal 2019 anche hotel, B&B e affitta camere possono avere il wi-fi all’interno della struttura; tutti hanno avuto sul proprio telefono l’accesso ad Internet, seppur con un sistema ancora a pagamento e non libero come da noi, e con tariffe costose, complice il fatto che tutto rimane comunque gestito dall’unica società di proprietà dello Stato, la Etecsca.
Fino al 2018, bisognava andare in pochissimi luoghi, che erano generalmente alcune piazze, avendo acquistato una carta con un codice da inserire per connettersi alla rete wi-fi, mentre oggi puoi accedere ovunque e le persone utilizzano il telefono costantemente.
MZ
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Considerando le conseguenze probabilmente impreviste, cosa indusse il governo a scegliere di cambiare registro e dare un accesso più ampio e facilitato, anche se non illimitato, a Internet?
TS
Era inevitabile; il resto del mondo aveva accesso a Internet, non era qualcosa che si poteva impedire;
la copertura satellitare riusciva ad arrivare in qualche modo, c’erano comunque dialoghi e contatti soprattutto con gli Stati Uniti e il Sud America. C’era bisogno di un’agevolazione dell’accesso a Internet anche per una questione banalmente turistica: diventato il motore del Paese dal punto di vista economico, non si poteva proporre ai turisti esteri, in un mondo iper-connesso, un Paese con scarsissimo accesso ad Internet.
Se dovessi, quindi, riportare le stesse storie di oggi a trent’anni fa, penso che il cambiamento strutturale sia stato Internet, mentre sul piano motivazionale, del perché si sceglie di emigrare, non penso ci siano state grandi trasformazioni nel tempo. Sono le stesso motivazioni di sempre o ovunque. Ed è per questo che, secondo me, il film ambisce a essere universale e sta arrivando anche a un pubblico italiano in maniera così forte a livello emotivo. È facile identificarsi, per esempio in un rapporto di coppia, dove uno dei due sceglie di andare in un altro Paese per inseguire i propri sogni, seguire la propria passione, mentre l’altro sceglie di rimanere, per i forti legami, perché è radicato sul territorio. È normale, quando si è bambini sognare: io giocavo a calcio e sognavo di diventare un calciatore professionista e andare a giocare nel Real Madrid, poi evidentemente ho fatto altro. Però, quello del sogno di cosa si farà da ‘grandi’ resta, oggi come ieri e penso anche domani, un tratto universale.
Allo stesso modo, l’esperienza dei cubani andati a combattere in Angola non è un fatto così anomalo: basti pensare ai giovani statunitensi andati nella guerra in Vietnam, prima ancora alla seconda guerra mondiale; persino per ragioni di militanza politica molti si sono allontanati da casa e sono fuggiti o hanno scelto di combattere in un Paese straniero per difendere i propri valori e ideali.
Quindi, penso ci siano tratti universali veri oggi e trent’anni fa, come anche settant’anni fa, e non penso che cambierà domani.
La cosa che mi stupisce è, invece, che si parli relativamente molto poco – secondo me – della gravissima crisi economica, sociale e politica a Cuba, oggi.
MZ
Hai sottolineato l’importanza di una valenza che si potrebbe definire universale, al di là della specificità di Cuba, in termini di motivazioni che spingono a emigrare. Allo stesso tempo, Cuba è al centro di una contrapposizione radicale sul piano ideologico: o si era – e, in buona misura all’estero ancora si è – a favore o contro la rivoluzione. Trascorsi quasi 65 anni dalla rivoluzione e con tutti i cambiamenti di cui hai parlato, quanto è ancora presente o, al contrario, affievolita in chi emigra oggi da Cuba quell’orgoglio e appartenenza a un sogno condiviso, o prevale solo il risentimento all’interno della diaspora cubana? E nei confronti degli Stati Uniti c’è astio o, come in Vietnam, le giovani generazioni non mostrano alcun risentimento legato al passato storico e convivono bene con il capitalismo e la presenza statunitense?
TS
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La bellezza, secondo me, di Cuba è che ha mantenuto finora una fortissima identità a livello culturale, politico, sociale che tutti gli altri Paesi del Centro America, tranne il Messico (per dimensione e spessore), hanno perso, in qualche modo sopraffatti dall’intromissione nordamericana.
Conosco il Centro America; Cuba si distingue per essere un Paese che ha mantenuto un’identità musicale, culturale, sociale, politico, di visione rispetto alla storia.
Secondo me, rispetto alla domanda, ci sono perciò entrambe le cose a Cuba che, in questo senso, è ambivalente. Cuba mantiene un orgoglio, promosso negli anni attraverso la propaganda rivoluzionaria e basato sulla coscienza della propria peculiare posizione nel mondo, sulla presenza di figure autoritarie quali Fidel Castro e su una costante divulgazione interna finalizzata a creare una consapevolezza dell’identità cubana quale la migliore del mondo e via dicendo.
È ancora vivo l’orgoglio di essere cubani, ma non è più un orgoglio anti-statunitense.
Cuba è diversa dal Vietnam, in cui il capitalismo è arrivato e domina sotto molti punti di vista: oggi in Vietnam ci sono i McDonald’s e una sorta di invasione economico- commerciale, una corsa allo sfruttamento dei suoi stessi abitanti secondo i canoni commerciali e di consumo nord-americani. A Cuba non è ancora così, però sicuramente – come nel Vietnam – non c’è più un profondo astio com’era un tempo nei confronti degli Stati Uniti.
C’è una consapevolezza di un modello diverso di società e che gli Stati Uniti non siano un esempio di perfezione, ma in questo momento ci sono delle mancanze così gravi a Cuba che non è più possibile chiudere gli occhi e far finta di niente e molti giovani stanno lasciando Cuba proprio per questo.
Ovviamente, il contesto internazionale conta molto; la gestione interna del Paese, l’asfissiante embargo imposto dagli Stati Uniti sono risultati parte essenziale del problema. Emblematico fu quando il presidente statunitense Obama decise di aprire a Cuba, in un momento in cui l’isola registrava un grande attivismo in termini di investimenti di iniziativa privata, pur mantenendo la propria dimensione sociale e idea socialista.
Sicuramente oggi, più di ieri, c’è molto Occidente per le strade cubane: molte persone vanno in giro con magliette su cui è impressa la bandiera statunitense, si ascolta musica reggaeton e molti vorrebbero emigrare a Miami. Dall’altro lato, però, c’è anche uno Stato che mantiene una sua storia, una sua forza; c’è una tradizione che passa. Per questo, penso che ci siano entrambe le cose a Cuba, anche se in questo momento c’è molta più esasperazione nei confronti del governo interno del Paese, per cui la maggior parte delle persone vorrebbero emigrare per garantirsi un futuro per sé e la propria famiglia. Concretamente, in questo momento a Cuba, se non si ha un parente all’estero che invia rimesse soldi tutti i mesi, si vive in uno stato di indigenza.
MZ
E, per quanto riguarda i Paesi di destinazione dei percorsi migratori di oggi, hai l’impressione che cambi a seconda del territorio di partenza, oppure dipende dalle catene migratorie e dai legami preesistenti in altre parti del mondo o da che altro?
TS
Come sempre, dipende anzitutto dalle comunità, perché chi parte ha bisogno di un supporto per arrivare, per esempio dalla comunità più grande di cubani al mondo, che si trova a Miami, ricordando che emigrare a Miami è stato più facile che altrove, non solo per la
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vicinanza e la numerosità della comunità cui far riferimento, ma perché arrivando come cubani che richiedono asilo, si ha la possibilità di rimanere nel Paese legalmente, il che non avviene necessariamente emigrando in altri Paesi.
Un altro aspetto da considerare è la possibilità di ottenere i visti d’ingresso: Cuba ha uno dei passaporti più ‘deboli’ al mondo in termini di libertà di movimento internazionale, nel senso che in questo momento c’è la possibilità ancora di andare facilmente, tra i Paesi vicini, in Nicaragua e Venezuela, oltre a diverse piccoli Stati insulari che non richiedono il visto. Molti cubani emigrano in Nicaragua, non avendo bisogno del visto, per restarvi solo temporaneamente e poi intraprendere la traversata dei Paesi centro-americani per arrivare in Messico e di lì consegnarsi negli Stati Uniti. La destinazione finale non sono solo gli Stati Uniti, anche Canada e, in Europa, Spagna e Italia. Fino a poco tempo fa c’erano anche molti cubani che emigravano in Russia, che non richiede il visto, e da lì cercare di arrivare in Spagna.
Per la preparazione del film ho consultato anche dei docenti di storia contemporanea cubani dell’Università de L’Havana, per accertarmi su vari punti e anche per interesse mio personale. È molto interessante quello che sta succedendo: storicamente, Cuba ha sempre avuto il supporto russo e ha avuto legami con la Russia, che ha mantenuto anche in questo momento; tuttavia, non sono molti i cubani che vogliono emigrare in Russia e quasi tutti i Paesi in cui possono andare non hanno il modello sovietico come prima scelta né relazioni diplomatiche serene con la Russia.
MZ
Viene da pensare come il riferimento all’attraversamento di molti Paesi di transito per rotte non sicure rimandi anch’esso a dimensioni universali delle migrazioni. Basti considerare le rotte marittime del Mar Mediterraneo e quella terrestre per i Balcani utilizzate per raggiungere l’Unione Europea, passando per il Nord Africa.
TS
Sicuramente sì. C’è un flusso migratorio che transita per Nicaragua, Guatemala, Messico, mentre altri vanno in Guyana.
Un piccolo esempio: l’attore che interpreta uno dei due bambini nel film è partito il mese dopo aver girato il film e, insieme alla madre, ha intrapreso una lunga e difficile rotta, correndo il rischio di essere incarcerato in Messico. Hanno impiegato un mese e mezzo per arrivare negli Stati Uniti, accompagnati dai Coyotes, come sono chiamati i ‘traghettatori’ che conoscono il territorio e aiutano, dietro pagamento, ad attraversare il confine tra Messico e Stati Uniti, dove potersi poi ‘consegnare’.
Chi viene intercettato in questo attraversamento irregolare in Messico finisce in carcere con l’imputazione di immigrazione illegale.
CI sono casi che conosco di ricongiungimenti familiari per vie tortuose; per esempio, padri che partono prima degli altri familiari, magari con un passaporto di altra nazionalità, ottenuto sulla base di un matrimonio combinato, con cui viaggiano fino alla destinazione finale, senza doversi impegnare all’attraversamento di lunghe rotte migratorie.
MZ
Questa lunga storia di diaspora cubana all’estero, peraltro segnata dall’attraversamento di rotte non facili e da separazioni di famiglie, probabilmente crea un destino di ibridismo del migrante, non pienamente incluso nel Paese di
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accoglienza, perché comunque considerato ‘immigrato’, e al contempo, riconosciuto a Cuba come persona che invia rimesse ma che si è anche nutrito dell’alterità di un altro contesto culturale in cui vive e non è forse più pienamente cubano. Basandoti sulla tua esperienza e i tanti contatti che hai a Cuba, cosa puoi dire dell’idea del ritorno a Cuba? Quando si emigra, si ha un progetto di emigrare per restare all’estero diversi anni, portare poi anche la propria famiglia e costruire il futuro della propria vita lontano da Cuba, oppure prevale l’incertezza, nel senso che si prendono decisioni a breve periodo, o è chiara l’idea del ritorno alla terra natale, la patria, alle proprie origine e radici, l’Heimat?
TS
L’idea del ritorno a Cuba c’è ed è forte. Come dicevo quel che caratterizza la realtà cubana è un’’identità molto forte sul piano culturale, familiare, di legami alla terra e alla tradizione. Va riconosciuto che, anche grazie alla rivoluzione, è maturata una consapevolezza chiara della propria ‘cubanità’. Molti emigrati vorrebbero tornare, anche perché sono molti quelli che fanno fatica all’estero; molti altri invece raggiungono gli Stati Uniti e il loro sogno è quello di rimanere lì.
Penso che oggi molti dei cubani che partono non vorrebbero andare via se non fossero costretti dalle condizioni economiche drammatiche ed emergenziali.
Un’attrice cubana che conosco bene sta in Italia da un anno, si è da poco sposata con un italiano, ha imparato bene la lingua italiana, si trova quindi bene, ma le manca terribilmente Cuba perché, a suo modo di vedere, Cuba ha delle caratteristiche specifiche, anche nel modo di pensare e di vivere, che è difficile trovare all’estero. È, appunto, il concetto di Heimat, la patria, la propria terra, che è evidente a Cuba, molto più che in altri posti nella stessa regione del mondo. Altrove puoi trovare un forte legame con la propria famiglia, con la terra intesa in senso materiale di terreno, ma non ideale. Conta molto, penso, il modello culturale, scolastico, medico e lavorativo con cui si cresce vivendo a Cuba. È vero che i giovani sono quelli che tendono maggiormente a emigrare, ma nel caso di Cuba è legato anche al fatto che i giovani sono meno influenzati da quel modello, son cresciuti in un momento in cui lo Stato è molto più debole, mentre chi ha vissuto la stagione rivoluzionaria, ma anche chi fa parte della generazione successiva e ora ha sessant’anni, la prima generazione post-rivoluzionaria, non lascia il Paese anche perché ha lottato e speso una vita per un altro modello di società.
MZ
Una situazione che, per certi versi, ricorda anche la situazione della Palestina, con gli anziani che non hanno ragioni per andarsene, ma capiscono che i giovani vogliano andarsene se non ci sono prospettive di una vita in condizioni dignitose dove sono nati. Nel film c’è una ragazza, Edith, che progetta di emigrare. A Cuba si può parlare di una specificità della femminilizzazione delle migrazioni, nel senso che vivere la dimensione migratoria in quanto ragazza o donna pone altre dimensioni, priorità e problemi rispetto alla migrazione maschile cubana, oppure no?
TS
Non saprei, onestamente non penso. Cuba è sempre stata una società machista, però è nella sostanza un machismo estremamente decadente e che non ha un impatto diretto sul fenomeno migratorio. Negli anni ‘90 un classico schema prevedeva che il padre di famiglia
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emigrasse e che solo successivamente il resto della famiglia lo raggiungesse, ma oggi il fenomeno è di una tale portata che semplicemente chiunque sia nelle condizioni di lasciare l’isola caraibica lo fa.
MZ
A proposito di questo del modello maschilista, Cuba non ha, contemporaneamente, una realtà immigratoria significativa, al di dà del turismo, compreso quello sessuale, di breve periodo, cosiddetto “mordi e fuggi”?
TS
Io stesso sono stato parte del fenomeno migratorio in direzione contraria, perché ero parte di quelle persone che non si trovavano a Cuba per vacanza ma che ci trascorrevano diverso tempo per fini lavorativi. Se si può parlare di un fenomeno stabile di immigrazione a Cuba è esclusivamente legato alle persone che sono a Cuba per lavoro, perlopiù per imprese o istituzioni. C’è poi qualcuno che è a Cuba per ragioni ideologiche, come pure qualche pensionato – compresi italiani – che si è trasferito a Cuba per il costo della vita più basso e lo stile di vita e le condizioni climatiche, ma tutto sommato i numeri dell’immigrazione nell’isola sono comunque molto bassi.
MZ
Casi quasi isolati, così pochi che non esiste un problema di ‘tolleranza’ da parte dei cubani, che invece tendono ad accogliere favorevolmente gli immigrati, oppure ci sono problemi di integrazione e inclusione?
TS
La società cubana è sempre stata una società estremamente inclusiva. Fino a pochi anni fa era anche uno dei Paesi meno pericoloso al mondo, un Paese estremamente aperto, se lo confronto coi Paesi in cui sono stato in Asia o in Africa.
Cuba è uno dei Paesi forse più aperti da quel punto di vista, nel senso che accoglie pienamente; se all’inizio si cerca di ‘sfruttare’ il turista e la sua disponibilità economica, vendendo sigari, proponendo di cambiare valuta in strada, un po’ quello che si faceva a Napoli nel secondo dopoguerra con gli statunitensi e che vediamo anche nei film di Roberto Rossellini, le cose cambiano dopo un po’, quando ti inserisci in quella realtà. Chiaramente, come ogni società, ha delle regole tutte sue che non sono le nostre, che bisogna conoscere, ma non è esclusiva nei confronti di chi viene da fuori. È importante avere un approccio antropologico di adattamento, perché non si tratta di andare a vivere in Germania o in Spagna, molto simili all’Italia, ma di andare a vivere in un posto dove per prendere dei beni di prima necessità occorre fare code molto lunghe e dove non c’è una logica chiara sotto tanti aspetti.
MZ
Tornando agli emigranti cubani che hai incontrato, ti sembra ci sia una richiesta ricorrente di cambiamenti in termini di specifiche misure, qualcosa cioè che, sempre generalizzando, molti migranti desidererebbero per migliorare la propria condizione di migranti, per agevolarla in ragione dei tanti problemi che incontrano? E, invece dal tuo punto di vista, nella situazione attuale e con una buona dose di realismo, ci sono alcune misure che il governo cubano oppure governi di altri Paesi, a cominciare da
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quelli di accoglienza, dovrebbero adottare con urgenza per migliorare la situazione dei migranti cubani?
TS
È una questione molto complessa. Il problema principale oggi per chi emigra è trovare le condizioni per emigrare, nel senso che è impossibile, per esempio, fissare un appuntamento all’ambasciata di Spagna, dove la maggior parte dei cubani vorrebbe andare, per ragioni culturali, linguistiche, di stile di vita. L’ambasciata statunitense dà difficilmente appuntamenti, è rimasta chiusa fino a poco tempo fa. Fuori dalle ambasciate che aprono a eventuali visti ci sono sempre lunghe file, perché non appena si sa che ci sono spiragli di possibilità di emigrare in un Paese subito si creano le code; di conseguenza per le ambasciate è molto difficile offrire supporto a questo flusso di richieste.
Anche da questi aspetti si coglie l’eccezionalità della crisi migratoria attuale. Io stesso, per far arrivare l’attore Alex per la presentazione del film al festival di Venezia, occasione che rappresentava per lui la prima volta fuori dal Paese, ho avuto il supporto prezioso dell’ambasciata italiana, che oltre a questo contributo ha supportato e agevolato largamente la realizzazione del film. Ma, in qualsiasi altra ambasciata, senza un supporto o un dialogo diretto, le tempistiche sono lunghe, come pure le condizioni da soddisfare sono difficili. Devi poi sempre predisporre una fideiussione, ottenere un visto, avere già un invito, avere un lavoro … lasciare l’isola è molto difficile e questo costringe molti a far cercare di partire su piccole imbarcazioni per raggiungere direttamente gli Stati Uniti, con tutti i rischi che comporta. Se si viene intercettati dalla polizia di frontiera cubana si finisce in carcere, ma c’è il rischio anche di essere intercettati dal pattugliamento statunitense.
È vero che oggi non c’è più quell’attitudine dello Stato cubano prevalente nel passato di impedire ai cubani di lasciare il Paese, in qualche modo sono incoraggiati, purché lo facciano nelle forme legali. Una misura presentata anche come forma di alleggerimento della pressione, anche invitando alcuni particolarmente critici con il governo a lasciare il Paese.
Al contempo, i Paesi di destinazione non riescono a supportare il flusso migratorio e le domande crescenti. Anche l’Italia, che ha il merito di essere stata forse l’unica sede diplomatica rimasta aperta anche durante tutta la pandemia da COVID-19 e che ha offerto un servizio eccezionale da quel punto di vista, come anche a livello di manifestazioni culturali a livello locale, non riusciva a gestire tutte le richieste di appuntamenti.
Lo Stato cubano potrebbe adottare tantissimi provvedimenti e probabilmente, mi viene da dire, la scelta di aver promosso un cambio monetario nel mezzo della pandemia e della conseguente crisi turistica non è stata un’implementazione attuata con il miglior tempismo possibile. Sicuramente il governo dovrà darsi da fare per stringere nuovi accordi economico-commerciali che permettano di dare un po’ di respiro all’economia e sollievo alle condizioni di vita della popolazione, il che avrebbe riflessi anche sulla forte spinta migratoria.
MZ
Sempre a livello di generalizzazione, Il film lo ambienti A San Antonio de los Baños, cioè nell’entroterra cubano e non a L’Havana. Il fattore territoriale, cui si legano le caratteristiche specifiche del migrante cubano, cioè il fatto che chi emigra venga dall’entroterra, sia povero, uomo oppure donna, colto o non istruito, con una
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professione, con una chiarezza di idee … sono fattori che contano e rendono diversi i progetti migratori, oppure tutto questo non fa troppa differenza?
TS
Penso che tutti oggi vogliano migrare, senza distinzioni culturali, poi c’è chi è più possibilità e chi meno, ma in questo momento l’unica discriminante è l’età: chi ha meno di 40-50 anni tende ad emigrare, chi ha 50 anni o più sceglie di rimanere. Però, poi, come racconto nel film ci sono anche giovani che decidono di rimanere, come Alex, mentre Edith vuole partire. Alex, nella realtà, capisce che molte cose sono più facili altrove, ma è così profondamente legato alla sua terra e a quella cultura da non poter partire e ci sono cose, d’altra parte, che non capisce della vita in Occidente, di cui mi ha spesso parlato, a cominciare dal bombardamento cui siamo sottoposti dalla pubblicità per consumare, ma anche lo stress e le condizioni di vita senza diritti e senza garanzie. D’altro canto, capisce chi sceglie di lasciare il Paese.
Dall’altra parte, Edith, che poi è venuta effettivamente in Italia e che proviene dallo stesso contesto di Alex, è emigrata e lo rifarebbe cento volte, ma contestualmente capisce il ragionamento di Alex.
MZ
Un’ultima domanda, dal momento che indicavi la specificità culturale e artistica di Cuba, in ragione della tua professione e competenza in materia e visto che hai anche studiato alla scuola di cinematografia cubana e hai frequentato storici cubani: per chi volesse approfondire il nesso tra Cuba e migrazioni con uno sguardo artistico, oltre al tuo film, cosa consiglieresti?
TS
CI sono molte opere cinematografiche importanti, a cominciare da film come “Madagascar” (1994) o “Suite Habana” (2003) di Fernando Pérez, “Lejanía” (1985) di Jesus Diaz, a “Memorias del subdesarrollo” (1968) di Tomás Gutiérrez Alea e basato sul romanzo di Edmundo Desnoes, forse il film più importante della storia cubana realizzato da un cubano, che parla del momento della rivoluzione, quando tutti se ne vanno e solo un borghese sceglie di rimanere e vivere la crisi del Paese. O opere più recenti come “Llamadas desde Moscu” o autori dalla poetica estremamente forte quali Alejandro Alonso, Carlos Lechuga, Carlos Melian, Carlos Quintela, Jose Luis Aparicio e Daniela Barroso. A questi lavori si aggiunge il dialogo sul tema portato avanti dalle opere d’arte di Kcho, artista legato al governo e che racconta sempre fenomeni migratori, a quelle di Carlos Garaicoa, Alejandro Campins, Yoan Capote, che realizza quadri di grandissime dimensioni che mettono in relazione la sofferenza delle migrazioni, dell’altrove, dell’orizzonte e del mare. Ce ne sono poi moltissimi in tutte le arti praticate a Cuba; lo stesso titolo del mio film, “Los océanos son los verdaderos continentes” è preso da un verso di una poesia di Francisco Guzmán Rivero, poeta marginale la cui poesia trattava spesso il tema della separazione. Oppure, Reinaldo Arenas, scrittore che aveva scritto un libro famosissimo, “Antes que anochezca”, da cui è stato tratto il film – non cubano – del 2000 “Prima che sia notte” di Julian Schnabel (2000) sul regime, l’omosessualità e l’emigrazione.
A pensarci più a lungo ci sarebbero tantissimi artisti da citare, perché a Cuba c’è un patrimonio culturale immenso da consultare per chi volesse approfondire.
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